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Giancarlo Padovan per "il Fatto Quotidiano"
Zlatan Ibrahimovic non conosce Ugo Foscolo. Eppure, come al poeta, anche a lui ruggisce dentro uno "spirto guerrier". Purtroppo quel combustibile ha smesso di alimentarlo ("il calcio non mi brucia più"). In compenso - è ufficiale - il fumo gli esce dalle narici. Bastava guardarne l'espressione - torva, tempestosa, cupa, minacciosa - durante la disastrosa prestazione, sua e del Milan contro la Juve, per capire che umore gli cresceva in petto, presumibilmente spegnendo il resto.
Non è una novità : il soggetto è difficile, provocatore e impunito, discretamente cafone, sprezzante e arrogante con tutti. Ha un'idea muscolare della vita e della competizione, naturalmente gli piace più darle che prenderle (e non solo metaforicamente) anche se non si tira indietro quando c'è da prenderle. I difetti sono più dei pregi. Ma un pregio è la trasparenza: Ibrahimovic è esattamente quel che sembra.
Non sorprende, dunque, quanto detto in un'intervista rilasciata dall'attaccante svedese nel ritiro della sua Nazionale: "Nella vita capitano talmente tante cose che in ogni momento ce ne sono di nuove e per me, rispetto al calcio, è arrivato il tempo di cominciare a pensare anche ad altro". Parla così perché non gli piace perdere e l'inizio di stagione è stato un piccolo carico di amarezze: dalle sconfitte con Napoli e Juventus (una delle tante squadre affrontate da grande ex) all'infortunio agli adduttori dal quale non si è ancora completamente ripreso a livello di condizione fisica generale.
Parla così perché segna poco e incide meno, oltre ad avere capito che il Milan ha problemi che lui, da solo, non può risolvere e nemmeno mimetizzare. Parla così perché ha trent'anni, non ha ancora vinto una Champions e la quasi certezza di non farcela neanche quest'anno, accrescendo l'intimo sospetto di non esserne pienamente all'altezza. Parla così perché ancora una volta vorrebbe cambiare squadra. E, però, ormai ne ha passate tanteche non resta, forse, che il Real Madrid di Mourinho, l'unico con il quale potrebbe riprovarci misurando alla pari ambizioni e egotismo.
Eppure, appena a metà luglio, Ibrahimovic sosteneva di essere un uomo felice e diceva che il Milan era l'ultima società nella quale avrebbe giocato. Ha cambiato idea in fretta. Quando si è ritrovato in una squadra, peraltro falcidiata dagli infortuni, non competitiva come sembrava. Forse, oltre che insoddisfatto e un po' frustrato, adesso è anche stanco di vivere una vita calcistica con i pugni in tasca, sempre pronto a dimostrare a tutti di essere il più bravo e, soprattutto, il più forte.
"Mi spiace - ha detto nell'intervista - ma non funziona più come in passato. Non giocherò ancora a lungo, non andrò avanti all'infinito". Premesso che due anni e mezzo (il contratto con il Milan scade nel 2014) non sono esattamente un'eternità , le parole di Ibra aprono almeno un paio di questioni. La prima: vuol dire che da qui in avanti giocherà con minore entusiasmo? La seconda: se sì, come sembra dalla seguente freudiana frase "quando ero giovane il calcio era tutto per me e ogni cosa gli ruotava intorno", lui e il suo manager Mino Raiola chiederanno al Milan un adeguamento al ribasso dell'ingaggio?
Già , perché tutto nelle affermazioni dello svedese fa intendere che qualcosa è venuto meno anche per l'aspetto strettamente professionale: "Ora il calcio è più un fatto di routine. à un ritmo che ti è entrato dentro: vai sul campo, ti riscaldi, ti alleni e poi torni a casa. Prima, invece, capitava che rimanessi anche dopo la fine della seduta perché c'era sempre qualcosa da fare".
Ufficialmente Ibrahimovic guadagna 9 milioni di euro netti all'anno. Qualcuno, invece, ipotizza che siano dodici (quanto percepiva al Barcellona), ma non esistono riscontri obiettivi in proposito. Comunque è tanto. Più di tutti i calciatori del campionato italiano. Ibra stacca di tre milioni Buffon e Sneijder (sei milioni all'anno) e doppia il compagno di squadra più pagato dopo di lui il francese Flamini.
I soldi, in questa faccenda, c'entrano. Non perché siano il corrispettivo del rendimento, ma perché devono almeno fornire la teorica misura di un impegno assoluto, totale. Ibrahimovic non è il primo calciatore a soffrire di tedio esistenziale. Più semplicemente è il più ricco a denunciarlo senza prevederne conseguenze.
Quando capitò a Marco Bernacci, discreto attaccante di Cesena e Bologna, solo un anno fa ceduto al Torino, la decisione fu repentina. Risoluzione del contratto e rinuncia all'ingaggio di 500 mila euro. Un'inezia rispetto a Ibrahimovic. Probabilmente Bernacci era vittima di una depressione. Tuttavia la sua onestà è merce rara, visto che avrebbe potuto restare in organico e provare a farsi curare. Invece scelse il taglio netto. Quest'anno ha ripreso, gioca a Modena, in Serie B per meno di 150 mila euro.
Drastico fu l'addio di Platini che lasciò il calcio a 32 anni, solo due in più di Ibrahimovic. La sua ultima partita fu nel maggio dell'87, contro il Brescia in casa, appena ventiquattro mesi dopo la tragedia dell'Heysel. Quella carneficina gli aveva scavato dentro un vuoto senza fine, gli aveva ucciso la gioia di giocare. Uscì dal Comunale sotto la pioggia e inzaccherato di fango. La penna magistrale di Roberto Beccantini lo descrisse così: "Da re sole a re solo".
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