DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Pierluigi Panza per il Corriere della Sera - Estratti
Con condivisa soddisfazione, si è concluso il sempre complesso rituale di nomina del nuovo sovrintendente della Scala, una specie di conclave della musica. Come annunciato, il cda di ieri ha indicato all’unanimità nuovo sovrintendente del Piermarini Fortunato Ortombina, mantovano di 64 anni, diplomato al conservatorio di Parma, studioso verdiano e attualmente nello stesso ruolo alla Fenice di Venezia.
Entrerà in affiancamento all’attuale n.1 della Scala, Dominique Meyer, dal 1° settembre di quest’anno. Riconoscendo il lavoro svolto da Meyer anche per progettare le stagioni future, il cda ha deciso di prolungare la sua carica sino al compimento del 70° anno di età (agosto 2025), quando per la nuova legge dovrà lasciare.
Quanto alla direzione musicale, Riccardo Chailly resterà sino alla stagione 2026. Sarà Ortombina a presentare al consiglio il successore, che dovrebbe iniziare dirigendo il 7 dicembre 2026. Sarà sempre il nuovo sovrintendente a condividere con il teatro un futuro direttore artistico e un direttore amministrativo (non generale), che potrebbe essere Andrea Erri, attuale direttore amministrativo della Fenice.
Il ministro Gennaro Sangiuliano esprime grande soddisfazione per la scelta operata dal cda e condivisa dal ministero: «Una soluzione eccellente, frutto di una collaborazione istituzionale e della consapevolezza che la Scala proietta un’Italia positiva nel mondo. Dopo tre sovrintendenti stranieri, Lissner, Pereira e Meyer, alla Scala torna un italiano e questo accade appena qualche mese dopo la consacrazione dell’arte del canto lirico a patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco».
«Abbiamo fatto tutto per il bene della Scala, per la dignità e la correttezza», ha dichiarato al termine del consiglio il sindaco e presidente della Scala, Giuseppe Sala. «Ortombina si preparerà in questi mesi e Meyer preparerà il tutto per facilitare il suo lavoro». Su Meyer ha aggiunto: «Dopo una serie di riflessioni e confronti con il governo, la proposta del cda di rinnovare l’incarico a Meyer fino al primo agosto 2025 è un riconoscimento del suo lavoro».
Il sindaco ha poi lasciato trapelare che, forse, non tutti erano concordi nel ritenere applicabile alla Scala la norma sui 70 anni, ma si è preferito scegliere la via della condivisione, «un compromesso accettabile»
(…)
SCALA, È ORA DI PENSARE ALLA MUSICA
Alberto Mattioli per la Stampa - Estratti
Tutta questa telenovela sul sovrintendente della Scala ha almeno un pregio: è finita.
(...) L'aspetto sconcertante della vicenda è un altro: tutti hanno parlato e talvolta sproloquiato di persone, nessuno di strategie, idee, progetti. Sempre di «chi» e mai di «cosa». In questi mesi, nessuno ha mai spiegato prima quale tipo di teatro e di programmazione artistica vorrebbe, e poi quale sarebbe la persona adatta per realizzarla.
Oltretutto, ed è stato il grande errore della sovrintendenza Meyer, oggi alla Scala c'è un evidente squilibrio di impegno e di risultati fra la parte amministrativa, ottima, e quella artistica, deficitaria. Come se produrre spettacoli d'opera non fosse il «core business» del teatro. Per carità: intendersi d'opera non è obbligatorio né per i sindaci né per i ministri. Ma è paradossale che Sala e Sangiuliano non abbiano accanto nessuno in grado di spiegare loro l'ovvio.
Incredibile, poi, che di questi argomenti nulla si legga sui giornali, nemmeno su quelli milanesi. In questo momento storico, la Scala ha due problemi. Il primo è che ha perso quel che la rendeva unica: il rapporto con la città. Il teatro è sempre pieno, ma di turisti; il loggione sembra scomparso; la Scala non è più ciò che era sempre stata: l'anima di Milano. Perché la Scala non è solo un teatro: è, anzi era, il centro del centro cittadino, un'istituzione non solo musicale e, scusate la parolaccia, culturale, ma sociale, mondana, civile, quindi politica nel senso più alto e più nobile.
Un ruolo che ha perso, come si è visto durante la pandemia, quando la Scala è scomparsa dall'orizzonte. Secondo problema: nelle sue epoche migliori, la grandezza della Scala è stata quella di anticipare quello che poi si sarebbe fatto nel resto del mondo. Di dare la linea, insomma. Oggi la linea artistica la Scala non la dà perché non l'ha, e in sostanza a Milano si fa quel che si fa ovunque nel mondo, anzi arrivando pure sistematicamente in ritardo. Volendo parlare di politica culturale, riscusate, sarebbero questi gli argomenti da affrontare. Fortunato Ortombina non ha bisogno di idee perché ha già le sue, ma una gliela vogliano offrire.
La Scala smetta di seguire il mainstream operistico internazionale, anche perché lo fa male, e rilanci la sua identità investendo sugli artisti italiani, per esempio tutti quei quaranta-cinquantenni, non necessariamente figli di, che ci sono, tanti e validi. Nessuna autarchia, ma ci sono i registi e i direttori per ridefinire una via italiana al teatro musicale, beninteso non provinciale né ottusamente conservatrice. E magari piacerebbe anche al governo nazional-sovranista, che in materia di idee finora non ne ha avuta nemmeno una.
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