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Emilia Santini per “Libero quotidiano”
Non una, due, dieci volte ma trenta: alla trentesima replica, Pretty Woman stravince ancora su Rai Uno. E sapete cosa vuol dire?
Che a noi, del principe Azzurro e di tutto il coté romantico messo all'indice dalle femministe, interessa ancora parecchio. Basta guardare i numeri: lunedì sera Pretty Woman ha vinto contro tutti.
Sì, certo: siamo a luglio, mica in pieno periodo di garanzia. Tuttavia la pellicola non se l'è cavata con un milioncino scarso di spettatori: è volata su, su, verso l'infinito e oltre toccando quota 3,3 milioni di spettatori su Rai Uno. Notevole anche lo share: 21,9%. Giusto per dare qualche termine di paragone: l'anno scorso, Pretty Woman era stato trasmesso il 22 settembre da Rai Uno e aveva appassionato 2,7 milioni di spettatori (13,9%). Due anni fa, a inizio marzo, aveva invece ottenuto 3,8 milioni di spettatori, quindi qualcosa di più, ma lo share era stato inferiore: 15,7%.
CONCORRENZA ANNIENTATA Tradotto: l'interesse non è di certo calato e, se possibile, è persino cresciuto. E dire che lunedì sera le alternative non mancavano: Canale 5 schierava la replica di Zelig, che ha sfiorato i 2 milioni (1,9 milioni; 14,1%). Italia 1, Rai Due e La7 puntavano invece sui telefilm, un genere che vanta il suo zoccolo duro di fedelissimi, mentre sotto la voce attualità militavano Report, fermo a 1 milione e il 6,5% su Rai Tre, e Zona Bianca di Rete Quattro, a quota 736 mila e 5,7%.
Quindi lo zapping magari non era selvaggio, perché siamo pur sempre in estate, ma sicuramente rappresentava una tentazione.
Invece siamo rimasti tutti bloccati lì, con il dito fermo al tasto uno del telecomando, a guardare un film che probabilmente conosciamo a memoria. Dopo 30 volte sapremo infatti come va a finire...
e forse ci piace proprio per quello, ossia per il finalone romantico, con lui che salva lei e noi che ci commuoviamo dal divano. Perché, sì, ammettiamolo: ci commuoviamo ogni santissima volta.
Non dovremmo, perché quel dannato Happy End è quanto di più lontano esista dagli standard romantici vigenti. Ci è stato infatti detto e ripetuto da Hollywood che ormai le eroine si salvano da sole.
Non hanno bisogno di nessuno: si sono emancipate. Il Principe Azzurro è andato: adios, bon voyage.
Non è un caso se, tra i 3.400 remake americani, manca all'appello proprio quello di Pretty Woman: non si può fare. Oggi una storia del genere farebbe gridare allo scandalo. Tanto per cominciare una protagonista prostituta non andrebbe bene. O almeno, se si prostituisse dovrebbe farlo consapevolmente e con un certo gusto. Dopodiché non si potrebbe mica innamorare del riccone capitalista di turno che, peraltro, le rifà il guardaroba insegnandole persino le basi del galateo.
SOLLEVAZIONE POPOLARE Ci sarebbe una sollevazione popolare: un uomo che vuole insegnare a una donna come vestirsi e comportarsi? Saremmo ben oltre al body shaming. Infine, ci sarebbe il problema pratico di trovare due attori intensi come Julia Roberts e Richard Gere. Per tutti questi motivi non si è mai pensato a un remake di Pretty Woman. Eppure quel mondo lì, di lei bella e dannata e lui novello principe azzurro, aveva il suo fascino.
Anzi, osiamo aggiungere: aveva anche un proprio valore morale. Le sacrosante lotte per l'emancipazione femminile hanno infatti avuto un prezzo molto alto: nel rincorrere la parità ci siamo giocati il romanticismo e, con lui, la galanteria di altri tempi incarnata da Richard Gere. Sotto sotto, ognuna di noi vorrebbe essere, citando una frase del film, «quella gran cu*o di Cenerentola». Altrimenti non staremmo ancora qui a guardare Pretty Woman...
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