DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Marco Giusti per Dagospia
Di che parliamo? Del film più visto dell’anno su Netflix. 42 milioni di spettatori solo questa settimana pre-natalizia, ma anche primo film Amblin (leggi Spielberg) finito sulla piattaforma.
Sto parlando dell’accattivante action-thriller “Carry-On”, mischione a basso costo (47 milioni di dollari) di “Die Hard” e di “Airport”, diretto da uno specialista di action come Jaume Collet-Serra, scritto da un esperto di videogames, T.J.Fixman, con Taron Egerton che fa l’eroico poliziotto aeroportuale inglese a Los Angeles e Jason Bateman un cattivissimo americano con cappellino alla Trump pronto a far saltare un aereo di linea con 250 persone a borde, ma, all’occorrenza, anche tutto il gate 7 dell’aeroporto con una megabomba russa.
Uno contro l’altro, come insegnano appunto i grandi classici del thriller natalizio alla “Die Hard”. Perché, ovviamente, tutto si svolge la vigilia di Natale, con il nostro poliziotto, anzi TSA agent, cioè un addetto ai bagagli, Ethan Kopek, interpretato da un perfetto Taron Egerton, che scopre proprio quella mattina di aspettare un figlio dalla bella fidanzata, Nora, Sofia Carson, che lavora anche lei all’aeroporto.
In uno scatto di orgoglio riceve un lavoro superiore alle sue aspettative e cade nella trappola di un gruppo di criminali, coordinati da un misterioso uomo con cappellino e zainetto, Jason Bateman, che ha intenzione di far passare una bombetta piena di gas nervino sotto il suo naso. Se non lo farà morirà la sua bella fidanzata Nora. Bateman si porta dietro una scia di morti ammazzati che continua a crescere durante il film senza che il povero Ethan possa fare molto a parte contarli.
Ma le cose cambieranno, grazie anche all’arrivo sulla scena di una poliziotta nera di gran fiuto, è Danielle Deadwyler, grande attrice che ha già vinto una valanga di premi con “The Piano Lessons” di Malcolm Washington. Pieno di buchi narrativi, di effetti speciali così così e di trovate di seconda mano (è così, dai), il film non solo si salva, ma ti prende totalmente proprio perché è il tipico action-thriller di Natale da vedere a casa, e lo scontro fra i due protagonisti, due bravi attori, funziona benissimo.
Taron Egerton non la smette di correre come un pazzo per l’aeroporto e di salvarsi da situazioni assurde dribblando morti e schivando colpi fatali, e Jason Bateman non fa altro che proporsi come male assoluto della porta accanto. Alla fine ce lo siamo visto tutto. Meno riuscito, ma più interessante, uscito sempre in questi giorni su Netflix, è invece “The Six Triple Eight” di Tyler Perry con Kerry Washington, Eboni Obsidian, Milauna Jackson e un mare di giovani attrici afro-americane, ricostruzione della storia dell’unico battaglione femminile di ragazze nere in azione durante la Seconda Guerra Mondiale.
Sono 855 donne che decidono di diventare militari, ma scoprono che la prima battaglia che devono affrontare è quella contro il razzismo degli ufficiali bianchi che non le considerano minimamente. Solo grazie all’interesse di Eleanor Roosevelt, interpretata da Susan Sarandon, e di Mary McLeod Bethune, interpretata da Oprah Winfrey, vengono spostate in Europa, con un compito assurdo. Smaltire 17 milioni di lettere scritte dai militari americani alle loro famiglie e viceversa in sei mesi. Ci metteranno 90 giorni.
Protagonista è Kerry Washington (fu la Broomhilda von Shaft di “Django Unchained”) nel ruolo del maggiore Adams, a capo delle ragazze, in lotta con l’insopportabile generale Halt di Dean Norris. Con lei ci sono la Lena Derriecott King di Ebony Obsidian (“Se la strada potesse parlare”), alla ricerca della tomba del suo fidanzato aviatore morto in battaglia, e una serie infinita di ragazze.
Visto che non combattono, l’unica azione che possano fare è quella di scontrarsi con gli ufficiali bianchi e il razzismo americano più becero. “The Six Triple Eight”, che traduce per scritto il nome del battaglione delle ragazze, 6888, è un tipico film epico e sentito di Tyler Perry, un po’ retorico, ma tutto sommato vedibile. Anche perché la storia è vera, alla fine compaiono le foto delle vere protagoniste, e ovviamente non ne sapevamo assolutamente nulla.
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