amy winehouse

SE AMY DAVVERO, NON MUORI MAI - PRESENTATO FUORI CONCORSO ALL'ULTIMO FESTIVAL DI CANNES, IL DOCUMENTARIO SU AMY WINEHOUSE HA GIÀ INCASSATO OLTRE 6 MILIONI DI DOLLARI NEGLI USA - MA IL PADRE E L’EX COMPAGNO POLEMIZZANO COL REGISTA

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Federico Pontiggia per “il Fatto Quotidiano”

 

AMY WINEHOUSE E BLAKE FIELDER    AMY WINEHOUSE E BLAKE FIELDER

“Tutto questo è noioso senza le droghe". Lo confidò a un' amica, la sera che ricevette un Grammy. E poi il suo pezzo più celebre, Rehab, e quel ritornello ferale: "They tried to make me go to rehab but I said, 'No, no, no'".

 

Il 23 luglio 2011 se n' è andata per avvelenamento da alcool, il 14 settembre prossimo avrebbe compiuto 32 anni: morire a 27, come Kurt Cobain, come gli altri astri cadenti del rock, quelli del "Club 27" (Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin). Non era una rocker, Amy Winehouse, faceva jazz, soul, ma l' autodistruzione e la dissoluzione del rock erano cosa sua, erano lei, la sua musica e la sua vita. Sì, e la sua morte.

 

AMY WINEHOUSE E BLAKE FIELDERAMY WINEHOUSE E BLAKE FIELDER

Non c' è più, e ci ha lasciato solo due album all' attivo, Frank (2003) e Back to Black, quello che tre anni dopo avrebbe venduto oltre 20 milioni di copie, consacrandola artista e, insieme, icona pop.

 

Gli occhi ipertruccati, i tatuaggi esibiti, una cofana di capelli corvini da drag, e nell' ugola, nel cuore e nel portamento un mix strappato al mito: Billie Holiday, Sarah Vaughan, Edith Piaf. Il suo mito privato, il suo personal Jesus che non l' avrebbe salvata, Tony Bennett, l' avrebbe accostata, oltre che a Holiday, a Ella Fitzgerald, che il suo talento jazz era adamantino pure nel black no future che cantava, la sua voce era già fuori dal comune quando giovanissima arrotava un Happy Birthday nella periferia settentrionale ed ebraica londinese.

AMY WINEHOUSE E BLAKE FIELDER AMY WINEHOUSE E BLAKE FIELDER

 

Lì a Southgate dove viveva con un padre adultero, che a casa ci stava davvero poco, e una madre che avrebbe dovuto essere "più dura, non hai abbastanza forza per dire stop". Glielo sentiamo dire in Amy, il documentario di Asif Kapadia che è già un caso cinematografico e non solo.

 

Presentato fuori concorso all' ultimo Festival di Cannes, salutato dal favore unanime della critica e dalle polemiche (familiari), ha già incassato oltre 6 milioni di dollari negli Usa - risultato eclatante per un prodotto non fiction-e3 milioni di sterline in Gran Bretagna: Katy Perry l' ha consigliato via Twitter ai suoi 73 milioni di follower ("Finalmente l' ho vista come un essere umano"), Russell Brand, Ellen Page e Cara Delevingne hanno fatto altrettanto.

 

amy winehouse1amy winehouse1

Nelle nostre sale arriverà solo per tre giorni, 15, 16 e 17 settembre, e potete già non prendere impegni: se la forma cinematografica non va oltre una solida sufficienza, perché la sperimentazione non abita qui, la potenza emotiva del film, ovvero della sua totalizzante protagonista, ha pochi eguali.

 

Realizzato su commissione della Universal Music, che ha reso disponibile a Kapadia tutto il repertorio della Winehouse, il doc si avvale di un archivio sconfinato e inedito, complici soprattutto le sue amiche d' infanzia Juliette Ashby e Lauren Gilbert e il suo primo manager e poi fedele amico Nick Shymansky, che da solo ha portato 12 ore di video. Ci sono loro, c' è Blake Fielder -Civil, che Amy sposò nel 2007 e lasciò due anni dopo, non prima di essere stata edotta all'uso di cocaina, eroina e crack.

 

amy winehouseamy winehouse

Bulimica e avvezza ai farmaci sin da piccola, la cura Blake le lascia un taschino tatuato sul cuore con il suo nome, un amore tossico di cui riempire le canzoni e svuotarsi le carni, le vene. Sappiamo come andrà a finire, sappiamo ogni minuto dei 128 del film che non vorremmo finisse così. Eppure, e qui sta una delle non trascurabili grandezze del lavoro di Kapadia, che già aveva ben raccontato Ayrton Senna, la posizione dello spettatore è funzionale all'analisi del fan dom contemporaneo, di quel sadismo voyeuristico che fino alla morte le sguinzagliò addosso torme di paparazzi affamati e azzannanti.

 

amy e padre mitch winehouseamy e padre mitch winehouse

Poi, c'è Mitch, quel padre che l' abbandonò presto ma che lei non ricambiò mai con la stessa moneta, perché "avrebbe baciato per terra dove metteva il piede". Quel padre che, eufemismo, minimizzò i problemi di droga della sua "bambina", non la indirizzò al rehab, piuttosto mentre tentava per l' ultima volta di rimettersi in sesto si presentò ai Caraibi con la troupe di un reality.

 

AMY WINEHOUSEAMY WINEHOUSE

Oggi Mitch Winehouse e Reg Traviss, il partner di Amy al momento della sua morte, si sono scagliati contro il film, che pure avevano prodotto, lamentando una distorsione della verità dei fatti a loro detrimento. Non ce ne potrebbe fregare di meno, piuttosto ci interessa lei, la soul singer che non volle farsi star, ma seppe farsi male. Sono 128 minuti verso la morte, con uno stupido basso continuo, il nostro " Amy, perché lo fai?". Mannaggia a lei. Soprattutto, mannaggia a noi.

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