DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Federico Ercole per Dagospia
I diavoli potranno anche piangere ma il quinto episodio dell’infernale saga di Capcom ci fa spesso sorridere meravigliati, felici come un goloso in una pasticceria dove i bignè “ oggi sono gratis”. La barocca sovrabbondanza di Devil May Cry 5 ci stordisce con le sue grandiose esasperazioni mentre ci ubriachiamo dell’onnipotenza marziale dei nostri avatar ammazza-demoni, salvo poi risvegliarci quando invece il gioco si fa d’improvviso difficile, costringendoci a padroneggiare virtuosamente complesse combinazioni di tasti per sopravvivere ai suoi violenti assalti e annientare quell’arci-demone così molesto.
Realizziamo di essere oltre l’iperbole, nel trionfo dell’esagerazione, quando tra le immani caverne di legno putrido, quasi carnoso, dove sprofondano i relitti di cemento di una città fittizia che mima Londra, raccogliamo i resti di una motocicletta tagliata in due dal nostro spadone e questi si trasformano per incanto in una doppia arma demoniaca che, romabando e fiammeggiando, sfracella diavoli insettiformi, schiaccia lucertole abnormi e, quando ci pare, ritorna un veicolo da cavalcare con la solennità di un re strafatto degli Hell’s Angels per impennarsi e fracassare altri avversari.
Appena uscito per Playstation 4, Xbox One e Microsoft Windows, Devil May Cry 5 è una festa per gli occhi e per le dita, ma non quella per il compleanno della zia Lucia o del piccolo Antonio, bensì un rave allucinante sulle spiagge dell’Acheronte dove la danza macabra, unica musica suonata da un DJ infernale, accellera la sua ritmica fino ad un’apoteosi hardcore.
LA STORIA CONTINUA
Devil May Cry è una saga cominciata nel 2001 per Playstation 2, con un espisodio diretto da Hideki Kamiya, già regista del Resident Evil 2 originale e uno dei fondatori di Platinum Games dopo la defezione da Capcom, autore di tesori teorici e stupefacenti del videogioco come Viewtiful Joe, Okami e Bayonetta, la super-sensuale strega. Devil May Cry è continuato quindi senza Kamiya ma se si esclude un secondo capitolo meno possente e ispirato, e un episodio non canonico, comunque bellissimo con la sua anima emo, politica e ribelle realizzato da Ninja Theory (quelli di Senua’s Sacrifice), è restata coerente con il suo intreccio nippo-gotico-horror e soprattutto con la sua giocabilità stilosa ed esagerata.
Vi si narra di Dante, figlio di donna umana e di un demone, cacciatore di bestie immonde dall’altrove infernale e della sua sempre crescente compagnia di personaggi carismatici, donne bellissime dure come l’acciaio e diavolacci sempre più infami.
Qui siamo alle prese con un gargantuesco albero demoniaco che pianta le sue radici in una metropoli pseudo-londinese, polverizzando i suoi abitanti il cui sangue alimenta la tenebrosa sintesi clorofilliana della pianta abnorme. Tornano le favolose, anche quando sciupate dalla sofferenza, Trish e Lady e c’è la nuova e occhialuta Nico, davvero erotica nella sua scafatezza, abile costruttrice di armi e fumatrice incallita.
Insulse, addirittura bigotte, in tempi neo-medievali durante il quale vige un inquietante nuovo rigore verso l’erotismo più scanzonato ed eccessivo, le rare ma noiose accuse di “sessismo” rivolte al gioco. I suoi personaggi, sia donne che uomini, sono prepotentemente sessuali ed emancipati, talvolta ambigui in maniera brillante, come i Cowboy Solitari di Andy Warhol e Paul Morrisey oppure le magnifiche, pettorute donne di Russ Meyer.
TRE(MILA) STILI
Il quinto episodio ha il pregio, che solo inizialmente sentiamo come un difetto per poi ricrederci dopo pochi minuti con il pad in mano, di farci giocare con tre personaggi diversi, ognuno con la sua strabiliante e distruttiva meccanica ludica. C’è Nero, nipote di Dante, giovane al quale viene tranciato un braccio all’inizio del gioco ma che presto sostituisce con svariate e letali protesi meccaniche che, consumandosi, dobbiamo utilizzare con strategia insieme ai fendenti della sua spada dall’elsa accelerante e la sua arma da fuoco. C’è ovviamente Dante, maturo e ancora più sexy con la corta bianca barba incolta, che ci fa giocare con diverse posture, alterna spada e pugni magici, pistole e fucile, lanciarazzi e la già citata motocicletta.
Ma la più gradita introduzione giocabile di Devil May Cry 5 è “V”, un ragazzo gracile, che viaggia appoggiato ad un bastone leggendo poesie come un Lord Byron nell’Ade. V ha i capelli neri e il suo magro volto ricorda quello di Freddy Mercury senza baffi e quello di Tom Cruise sottoposto ad una dieta spietata. A differenza degli altri personaggi V non attacca frontalmente i nemici ma evoca una pantera e un uccello magico che lottano per lui, salvo poi dare personalmente il colpo di grazia al nemico.
Durante la ventina di capitoli che segmentano l’intreccio del gioco alterniamo l’utilizzo di questo trio di massacratori di malvagi, facciamo loro apprendere nuove abilità (“guai” se lo fate utilizzando le microtransazioni che rendono acquistabili online le sfere rosse di potenziamento invece che guadagnarle giocando, quest’opzione non dovrebbe proprio esserci ed è l’unica nota dissonante del videogame) e padroneggiamo sempre meglio sistemi di controllo differenti, diventando più stilosi e potenti.
La varietà del combattimento, intervallato da brevi ma stimolanti fasi di esplorazione, nega ogni senso di noia e ripetività, orchestrando un crescendo spattacolare che trova il climax definitivo nel finale, inducendoci a ricominciare il gioco per provarlo nella modalità più difficile appena sbloccata, tanto giocando siamo migliorati molto rispetto a quando cominciammo il gioco, e lo vogliamo dimostrare.
TRIPUDIO D’AZIONE TECNO-METALLARA
Devil May Cry 5 è un motore spassosissimo di azione talvolta gioiosamente scervellata, altre riflessiva e virtuosistica. Ci conduce attraverso inedite regioni di un apocaliitico inferno ributtante e rappresentato con arte, martellati da metallari accenti, frenesie tecno e ricordi sinfonici di Carl Orff, esaltandoci e astraendoci con la sua storia assurdamente epica, di tanto in tanto comica in maniera irresistibile. Il ritorno di Dante è nel contempo divertimento puro e ludibrio estetico.
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