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IL CINEMA DEI GIUSTI – DI “FRATELLI UNICI”, UN FILMETTO SOTTOMOCCIA, PIENO DI BUCHI DI SCENEGGIATURA, PERFOMING I BELLI ARGENTERO E BOVA, È DI SICURO PIÙ AVVINCENTE LA STORIA CHE LO HA PRECEDUTO

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“Fratelli unici” di Alessio Maria Federici

 

Marco Giusti per Dagospia

 

Insomma ci sono due fratelli belli, uno medico, ricco, arrivato e un po’ stronzo, Raoul Bova, l’altro, più giovane, stuntman, sciupafemmine e perennemente al verde, Luca Argentero.

 

Un giorno quello ricco ha un incidente e non ricorda più niente. E quello più giovane lo accudisce, anche perché l’ex moglie, Carolina Crescentini, che sta per risposarsi con uno anche più stronzo, Sergio Asssisi, non lo vuole. Ma, miracolo, il fratello ricco e suonato si trasforma in un angelo e non è più lo stronzo di prima. E perfino il fratello sciupafemmine si innamora della bella vicina Miriam Leone.

 

Ecco, questa è la trama di “Fratelli unici”, opera seconda di Alessio Maria Federici, già regista di “Stai lontana da me” con Enrico Brignano e Ambra Angiolini (4 milioni di incasso), prodotto dalla Lux Vide di Luca e Matilde Bernabei come fosse una fiction e scritto da Luca Miniero e Elena Bucaccio come fosse un film di Moccia. Boh.

 

Il film non è un capolavoro, e questo si sapeva, non offre grandi possibilità di esprimersi a Raoul Bova, che relega in una zona da recitazione monocorde, al punto che la sua trasformazione da stronzo ad angelo non si capisce proprio, utilizza Luca Argentero come giovane scapestrato alla Scamarcio di dieci anni fa, e chiude le due ragazze, Carolina Crescentini e Miriam Leone, in due figurine di poco spessore.

 

Anche se Miriam Leone è una bella e nuova presenza nel nostro cinema e il film segna un po’ il suo vero esordio in una stagione che la vedrà protagonista di ben tre film (questo, quello di Miniero e quello di Massimo Gaudioso). Fin qui tutto regolare. La cosa più sorprendente è quella produttiva, che forse spiega quest’opera un po’ pasticciata che abbiamo visto.

 

Perché il film nasce come progetto diretto da Alessandro D’Alatri, che non è l’ultimo venuto, diciamo, su sceneggiatura di Silvio Muccino e Carla Vangelista. Lo stesso Muccino lo avrebbe dovuto interpretare nel ruolo poi affidato a Luca Argentero, assieme a Raoul Bova nel ruolo che ha, cioè il fratello stronzo. Titolo: “Io e mio fratello”. Inizio riprese novembre del 2013. Un anno fa.

 

Poi scompare Muccino, ma non il suo soggetto. Il suo ruolo passa a Riccardo Scamarcio. A questo punto scompaiono sia D’Alatri che Muccino e il film viene girato a gennaio da Alessio Maria Federici con Argentero e questo copione scritto da Miniero, un regista importante, e da Elena Bucaccia. E diventa questa sorta di sottomoccia, pieno di buchi di sceneggiatura, forse su volere della LuxVide dei Bernabei, che aveva esordito al cinema, dopo tanta fiction tv, con “Bianca come il latte, rossa come il sangue” di Giacomo Campiotti con lo stesso Luca Argentero.

 

L’altro ieri al cinema Barberini, dove ho visto il film, alle 19, 20 c’erano 378 posti vuoti su 400. Comunque non è andato male, visto che sabato sera ha incassato 337 mila euro in tutta Italia, al terzo posto dopo “Lucy” di Luc Besson e “Annabelle”, il film sulla bambola assassina.

 

Ha superato perfino “Sin City 3D” con la bellissima Eva Green, mentre “Perez”, al sesto posto, ha incassato 140 mila euro e “La trattativa” di Sabina Guzzanti è decimo con 63 mila euro e 9 mila spettatori. Ma dove è finito e perché sia scomparso il progetto di D’Alatri e Muccino rimane un mistero. Questo è il cinema italiano di oggi.