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Marco Giusti per Dagospia
Jurassic World di Colin Trevorrow
Come fare un nuovo T-Rex che ti permetta di incassare più di 500 milioni di dollari in un weekend? Ci metti il dna del vecchio tirannosauro con più denti, un niente de raganella, du’biscioni, e viene furi l’Indominous Rex, il rettilone intelligente. Anche Jurassic World, quarta puntata della saga spielberghiana iniziata ventidue anni fa con Jurassic Park, anche se mascherato da sequel diretto del primo film, è costruito nello stesso modo.
Recuperi il dna dell’idea originale di Michael Crichton e del film di Spielberg, qui produttore esecutivo ma anche molto di più, rubacchi lo squalo preistorico, il mosasauro, dal vecchio Jaws, la carica degli pterodattili da Gli uccelli di Hitchock, rifai i mostri di Stan Winston, scomparso nel 2008, in digitale, chiami gli sceneggiatori di L’alba del pianeta delle scimmie, Rick Jaffa e Amanda Silver, e fai cucinare il tutto a un regista fresco di laurea al Sundance, Colin Trevorrow, che non è il solito trafficone da effetti speciali.
Aggiungiamoci ancora due sciocchezze, la bellissima scena della gyrosphera ideata dallo stesso Spielberg, la sfera mobile trasparente con dentro i due ragazzini protagonisti che verrà adocchiata e inseguita dall’Indominous Rex, una delle cose migliori del film, e i coproduttori cinesi che ci mettono un bel po’ di quattrini per farne un successo clamoroso in patria e in tutto l’oriente.
Agiti il tutto con una logica da cinepanettone che prevede una star indiana come Irrfan Kahn per il mercato indiano e una star francese, Omar Sy, per quello europeo e viene fuori un film godibile e intelligente, non certo un capolavoro, ma che è pronto a dominare il pericoloso box office internazionale estivo. E infatti Jurassic World, con i suoi mostri preistorici un po’ taroccati, col suo cast che non ha più nessuno dei suoi eroi, a parte il dottore cinese Henry Wu interpretato da B.D. Wong e solo in foto il vecchio Jeff Goldblum, è partito a bomba.
L’obiettivo di incassare 100 milioni di dollari la prima settimana è già superata dopo due giorni. E, malgrado tutto, il film non è male. I personaggi non sono perfettamente definiti, ma Chris Pratt, l’eroe dei Guardiani della galassia, ha molta ironia come Owen, l’Indiana Jones che riesce a parlare con i velociraptor, Bryce Dallas Howard, figlia di Ron, è una sorpresa come Claire, l’amministratrice antipatica del parco a tema, che si trasforma in una eroina della giungla per salvare i suoi due nipotini in pericolo, Omar Sy e Irffan Kahn sono delle figurine di spessore.
Totalmente sprecato, invece, Vincent D’Onofrio nei panni di Hoskins, cattivo di turno, il militare al soldo del capitale che ha la malsana idea di usare i mostri preistorici costruiti in laboratorio come armi di guerra. Ha già messo gli occhi sui velociraptor di Owen. Ovviamente tutto accade come nel primo film. E come vedi un ciccione, sai che finirà mangiato. Con l’idea di trascorrere una lieta vacanza, i due nipotini di Claire, Nick Robinson e Ty Simpkins, arrivano a Isla Nublar, dove il potente Simon Masrani, cioè Irffan Kahn, ha messo in piedi un incredibile parco a tema dedicato al mondo preistorico con veri mostri del passato.
Come se non bastassero quelli che ha, ne ha fatti costruire altri ibridati al Dottor Wu, come il pericolosissimo Indominous Rex, che diventerà una furia difficilmente controllabile una volta fuori dal suo recinto in giro per l’isola. Al tempo stesso il pessimo Hoskins, legato alla società che controlla la sicurezza dell’isola, cova il piano di portar via i mostri per farne armi militari.
Capiamo ben presto che solo l’eroe spielberghiano senza paura Owen e l’odiosa Claire, aiutati dai quattro velociraptor, possono salvare la situazione. Dopo un inizio piuttosto modesto, diciamo che anche se più che note e prevedibili, le situazioni da avventuroso classico col mostro in libertà funzionano perfettamente. Anche perché la grande scena dei bambini chiusi dentro la gyrosphera con l’Indominous Rex fuori che li vuole pappare, è ben inserita come drammatica sorpresa narrativa.
E ogni scena di battaglia è modellata, anche con una certa ironia, su grandi scene del cinema del passato, da Gli uccelli di Hitchcock ai Godzilla di Honda allo storico King Kong di Schoedsack e Cooper. Ma la genialata di Spielberg è inserire il suo stesso Jurassic Park tra i grandi classici da amare e questo ci coglie di sorpresa, perché non sapevamo più quanto lo avessimo apprezzato.
Girato in 35 mm e perfino con una vecchia camera da 65 mm utilizzata da Stanley Kubrick per 2001: odissea nello spazio, è un giocattolone da 150 milioni di dollari più interessante del previsto. Deve mostrarsi una perfetta macchina da soldi, ma guarda anche al vecchio cinema dei mostri con affetto e nostalgia. Già in sala.
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