renzo arbore orchestra italiana

“IL SUCCESSO È QUESTIONE DI "CAZZIMMA" E PASSIONE” – RENZO ARBORE HA RICEVUTO UN PREMIO A NAPOLI, NELLO STORICO CONSERVATORIO SAN PIETRO A MAJELLA: “HO AMATO LA CANZONE NAPOLETANA DAL DOPOGUERRA, L'ASCOLTAVO DAGLI OPERAI CHE RICOSTRUIVANO FOGGIA DOPO I BOMBARDAMENTI. IL MIO AMORE PER QUESTA CITTÀ È DIVENTATO GRANDE NEL 1957 QUANDO HO CONOSCIUTO MUROLO - L’ORCHESTRA ITALIANA? PENSATE ALLA DIFFICOLTÀ PER ME, CHE VENIVO DAL JAZZ E CHE ERO UN ‘CAFONE ‘E FOR’’, DI CONFEZIONARE UN GRUPPO DI 15 NAPOLETANI TUTTI DIVERSI CHE AVEVANO VOGLIA DI RILANCIARE LE CANZONI CLASSICHE NAPOLETANE IN UN PERIODO IN CUI ERANO CONSIDERATE SUPERATE, BUONE PER I NONNI E PER IL PIANO BAR” – “L’AUTOTUNE? NON RIESCO AD APPROFONDIRE...”

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Vanni Fondi per napoli.corriere.it - Estratti

 

renzo arbore orchestra italiana

Premio San Pietro a Majella a Renzo Arbore «per aver interpretato e diffuso con straordinaria sensibilità artistica la melodia e la vocalità napoletana nel mondo». L’amatissimo conduttore e showman, pioniere della tv intelligente e talent-scout, musicologo e musicista, sarà oggi a ritirare l’ambito riconoscimento al Conservatorio partenopeo, tra i più prestigiosi al mondo.

 

Un luogo simbolico per uno come lei, che è vissuto e vive di musica. Ci viene in mente il maestro Roberto De Simone appena scomparso, che diresse l’illustre istituzione.

«Roberto De Simone è stato quello che ha meritato maggiormente l’omaggio del Conservatorio. M’intimidisco e m’inchino di fronte al suo nome, perché è lui il vero maestro, che ha riscoperto la tradizione antica della musica napoletana, ritrovandola, rivivendola. Una vera eccellenza, come il San Pietro a Majella. Pensi che, abitando nella zona di San Potito, ogni giorno, per andare all’università, passavo proprio davanti al Conservatorio. Ma mai avrei potuto immaginare che un giorno sarei stato invitato qui per ricevere un premio per la diffusione della cultura e della musica napoletana».

 

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renzo arbore orchestra italiana

 

C’è un fil rouge che lega la città dov’è nato, Foggia, a quella che l’ha adottato, Napoli.

«Proprio nella mia Foggia, distrutta dai bombardamenti, imparai a conoscere e ad apprezzare la musica napoletana. Tutti i faticatori, addetti alla ricostruzione, intonavano canzoni partenopee anche perché allora c’erano veramente solo quelle, famose, in giro per il mondo. Nel dopoguerra le ho conosciute tutte grazie alla posteggia a quei romantici cantanti col piattino che mi hanno introdotto a brani storici come “Tammurriata nera” o “Munasterio ‘e Santa Chiara”. Inoltre, da non dimenticare, c’erano i miei genitori che erano appassionati e mio padre, in particolare, collezionava dischi».

 

Poi l’avventura partenopea.

ugo porcelli renzo arbore

«Ci chiamavano i ragazzi della funicolare, con la quale salivamo da Chiaia al Vomero. Era lì che da giovanissimi noi jazzisti che battevamo i night potevamo incontrare altri musicisti e cercare occasioni per suonare. Facevamo capo alla galleria e alla famosa friggitoria. C’erano Nando Murolo, il notaio di “Indietro Tutta”, Lino Tammaro, i fratelli Loveri, insomma tutta la mia generazione».

 

A quando risale il suo innamoramento per Napoli?

«Al 1957, quando ho conosciuto Roberto Murolo, che già ascoltavo alla radio con grande avidità, protagonista di un programma notturno sulla rete rossa. Con la sua voce e la chitarra ha sdoganato canzoni anche molto antiche rendendole fruibili per gli appassionati che le volevano più semplici.

 

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E lui, con esecuzione e pronunzia perfette, con garbo e ironia, le rendeva comprensibili a tutti oscillando tra le classiche e quelle umoristiche. Approfitto del mio amarcord per ricordare che al Vomero all’indimenticabile indirizzo di via Cimarosa 25, dove sono stato tantissime volte, ora è aperto il museo Casa Murolo. Grazie anche e soprattutto a Mario Coppeto».

 

Le sue sono storie di uomo del Sud, che ha dalla sua il vantaggio della grande tradizione e cultura musicale, ma che deve fare i conti con tutti gli ostacoli propri di una terra difficile. Come ha fatto a portarla nel mondo seminando sold-out?

«Con la tigna che ci appartiene, anzi, con la “cazzimma”, visto che questo è il nome con cui qui si definisce meglio il concetto. E la passione. Lei pensi alla difficoltà per me, che venivo dal jazz e che ero un “cafone ‘e for’”, di confezionare un gruppo di quindici napoletani tutti diversi che avevano voglia di rilanciare le belle canzoni classiche napoletane del passato in un periodo in cui erano dimenticate, considerate superate, canzoni buone per i nonni e per il piano bar.

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Ma non per un’orchestra. Sull’onda del suono dei mandolini, che si sposa in modo fantastico con le melodie e la forza delle canzoni napoletane, facemmo nascere invece l’Orchestra Italiana. Il segreto è stato quello di cavalcare quelle armonie semplici e meravigliose non toccandole mai se non nel ritmo. E internazionalizzandole».

 

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Come considera la musica di oggi, dalla melodica alla rap-trap, fra intelligenza artificiale e autotune?

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«Con tutta la simpatia, non riesco ad approfondire. Ma la mia generazione, quella dei Claudio Mattone per intenderci, è troppo legata alle melodie di un tempo. Autotune e altro penso che siano discipline legate al momento. Ma Napoli, come diceva il mio grande amico Luciano De Crescenzo, ha sempre avuto ciclicamente periodi straordinari e meno straordinari. Il mio amore per la tradizione, per i classici della musica, per l’armonia, mi fa pensare che ci sono e ci saranno sempre dei brani musicali e musicisti evergreen, destinati a sopravvivere a tutte le mode. Da George Gershwin a Cole Porter a tutti i nostri».

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