RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Gian Paolo Serino per "il Giornale"
Michela Murgia, la Greta Thunberg della letteratura italiana, la regina del Tua culpa, la rivoluzionaria della messa all' indice, del giustizialismo social, della difesa di tutto quel che le occorre per poter attaccare qualcuno, è stata condannata da un tribunale. No, non come Strega (intendiamo il Premio, anzi «la Premia», per rispettare la sua battaglia oggi rivolta all' uso del femminile assoluto).
La pasionaria della televisione italiana, sempre imbronciata, continua a predicare allo specchio: qualunque polemica lei si batte per diventare una Saviana. La sua missione è essere critica per essere visibile, la sua posizione è quella di mitragliatrice di banalità sinistrate. La mitragliatrice può usarla solo Lei, come ha confessato inconsapevolmente a Di Martedì da Floris accusando il Generale Figliuolo: «Da un uomo che viene da un contesto militare non ci si può che aspettare un linguaggio di guerra. A me personalmente spaventa avere un commissario che gira con la divisa, non ho mai subito il fascino della divisa».
Tranne la sua: tra Rosa Luxemburg e Che Guevara in scialle e babbucce che, in barba ai suoi lettori, sottace di essere stata condannata. Perché la «difenditrice» dei poveri è stata condannata in appello, da lei richiesto, per non aver onorato il suo contratto con una casa editrice sarda. Proprio lei che dell' essere sarda ha fatto il proprio manifesto, candidandosi anche alle Regionali, e la propria fortuna esordendo con il romanzo Accabbadora che le ha dato notorietà prima di darsi al pamphlettismo, sul fascismo e sulla parità di genere nell'alfabeto, pare aver dimenticato a casa, in Sardegna, l'Abc del suo stesso predicare.
Dopo la sentenza di primo grado del Tribunale Civile di Nuoro del febbraio 2019, la Corte d' Appello di Sassari ha respinto il ricorso presentato da Michela Murgia in relazione alla vicenda incentrata sull' inadempienza contrattuale nei confronti della casa editrice sarda Il Maestrale. Secondo il Giudice, Michela Murgia aveva omesso di portare a termine e pubblicare il romanzo Spirito di Corpo, nonostante fosse già stato prenotato nelle librerie e pubblicizzato durante il Salone del libro di Torino nel 2011.
Dopo essere stata condannata a pagare 18mila euro più interessi e spese legali (circa 23mila euro), la scrittrice aveva presentato ricorso in appello. E a Sassari, la Corte presieduta da Maria Teresa Spanu ha appena confermato la sentenza di primo grado condannando Michela Murgia. Qualche accenno di scuse da parte della scrittrice?
Nessuno. Qualche giornale ne ha parlato? Nessuno. Mentre Michela Murgia continua a parlare di razzismo, di divieti di sbarco fascisti, perché dimenticarsi della propria condanna? Perché non dire nulla? Perché non difendere la Sardegna, terra da lei tanto amata, e non aiutare un piccolo editore che ha avuto il merito di scoprirla? Speriamo che oltre in Tribunale si inizi a fare giustizia anche nell' utopico reato di mancata coerenza.
2 - IL MAESTRALE CITA IN GIUDIZIO MICHELA MURGIA PER UN LIBRO NON PUBBLICATO
Mauro Lissia per https://www.lanuovasardegna.it 18 Novembre 2015
La società editrice nuorese “Il Maestrale” ha citato in giudizio civile Michela Murgia e chiede alla scrittrice di Cabras 172 mila euro, secondo l’avvocato Paolo Raffaele Tuffu il corrispettivo dei danni per la mancata consegna di un instant book sul corso di giornalismo gratuito organizzato ad aprile del 2011 a Cagliari.
Pochi giorni fa la fondatrice di Sardegna Possibile si è presentata davanti al presidente del tribunale civile di Nuoro Riccardo Massera insieme agli avvocati Rita Tolu e Federico Delitala per l’udienza di ammissione dei mezzi di prova. Il giudice si è riservato la data della prossima udienza.
michela murgia alla prima della scala
La vicenda è più semplice di quanto si presenti la controversia giudiziaria: il 10 maggio 2011, sette mesi dopo aver vinto il premio letterario Campiello, la scrittrice s’impegnò coi responsabili del Maestrale a scrivere il libro - il titolo era “Spirito di corpo” - per un compenso di 5000 euro e ne incassò la metà come anticipo. La consegna era prevista per giugno del 2011.
Doveva essere il racconto dell’esperienza vissuta dalla redazione formata da venticinque aspiranti giornalisti insieme alla scrittrice e ai docenti. Ma soprattutto il resoconto di un’iniziativa importante, l’apertura di una scuola di giornalismo, che era naufragata per l’intervento dell’Ordine dei giornalisti.
Dopo una sequenza di segnalazioni, il presidente dell’Ordine Filippo Peretti ricordò infatti alla scrittrice le regole da seguire e il rischio che avrebbe corso producendo, com’era nei progetti, una pubblicazione curata dai giovani corsisti. La notorietà della Murgia e la situazione di crisi dell’editoria, con la chiusura di Epolis e numerosi giornalisti disoccupati, alimentarono la polemica, che andò oltre i confini dell’isola.
Alla fine fu la scrittrice a rinunciare al libro-racconto quando erano stati scritti e in parte diffusi sul suo blog solo cinque capitoli: forse Michela Murgia si rese conto che la pubblicazione di quel volume avrebbe provocato reazioni pesanti nel mondo giornalistico sardo e problemi agli studenti, che temevano di vedersi bloccata sul nascere la possibilità di accedere alla professione.
Così, accantonato l’instant book con dichiarazioni pubbliche piuttosto risentite, la scrittrice propose al Maestrale due alternative: il romanzo breve “L’Incontro” già uscito come racconto sul Corriere della Sera, e il testo “Altre madri” edito da Einaudi nel 2008.
I responsabili del Maestrale però non accettarono, anche perché si erano già accordati con Rizzoli per l’uscita dell’instant book pattuito. Non solo: l’opera era stata promossa sul mercato editoriale con notevoli investimenti economici in vista del salone internazionale del libro di Torino, dove compariva fra i volumi in uscita.
Insomma: il Maestrale coltivava grosse aspettative editoriali e il passo indietro della Murgia fu un duro colpo anche sul fronte finanziario. A leggere il ricorso dell’avvocato Tuffu c’erano molte copie vendute ai librai ancor prima dell’uscita – nel ricorso si parla di ventimila – e guadagni certi che sfumavano, quello che in diritto viene definito lucro cessante. Cui si sarebbe aggiunto il danno d’immagine per una casa editrice piccola ma ambiziosa come quella nuorese.
La fitta corrispondenza che seguì alla rottura del contratto non risolse la controversia. La scrittrice offrì la restituzione dell’anticipo e cercò un’accordo ma il Maestrale restò e resta tutt’ora sulle proprie posizioni, accusandola di inadempienza del contratto. Ora a decidere chi ha ragione sarà il tribunale civile.
I PIEDI DI MICHELA MURGIAMICHELA MURGIA MICHELA MURGIA MICHELA MURGIA michela murgiaMICHELA MURGIA
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