DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Marco Giusti per Dagospia
federico fellini con leopoldo trieste e moraldo rossi
Ecco. Se ne va anche Moraldo Rossi, il Moraldo di “Moraldo in città”, il progetto che precede e si trasforma ne “La dolce vita”, l’ultimo amico di Fellini rimasto in vita del gruppo storico dei Vitelloni, non a caso chiamato “il sesto vitellone”.
Forse quello che conosceva meglio certi suoi lati privati. E molto abbiamo approfittato un po’ tutti dei suoi ricordi, sempre precisi. Nei film di Fellini, cioè da “Lo sceicco bianco” a “La dolce vita”, cioè per tutti gli anni ’50, fu segretario di edizione, sceneggiatore, regista della seconda unità, all’occasione anche attore, anche se dovette rinunciare ai ruoli costruiti proprio per lui, il Matto de “La strada” e il Moraldo poi ripreso da Franco Interlenghi ne “I vitelloni”.
O fai l’aiuto regista o fai l’attore, gli dissero. E scelse. Per sé, dopo la separazione con Fellini, si lasciò poco. Scrisse qualche sceneggiatura, “Giovane canaglia” di Giuseppe Vari, il montatore de “Il bidone”, “Giacobbe e Esaù” di Mario Landi, “Una sporca faccenda”, diresse un paio di film, un episodio del film “Cronache del 22” con Walter Santesso, “La coda del diavolo”, qualche seconda unità, su “Brevi amori a Palma di Majorca”di Giorgio Bianchi, perfino “Vacanze di natale” nel 1983.
E girò una marea di caroselli e di pubblicità, grazie soprattutto a Luciano Emmer che molto lo aiutò negli anni’60, da vedovo di Fellini. Girò “Posso con Zoppas”, “Dai dai che ce la fai” per il formaggino ramek della Kraft, un po’ di caroselli Agip con Raffaella Carrà, perfino Aiax lancere bianco!
Nato a Venezia nel 1926, fratello dell’attrice Cesarina Rossi in arte Cosetta Greco, arriva presto a Roma proprio per proteggere la virtù della sorellina, partita per la capitale per fare un film, che non farà, dopo aver vinto il concorso di Miss Scalera a Venezia nel 1948.
Mentre la sorella a Roma viene notata dal regista, sposatissimo, Pietro Germi, che le cambierà il nome, ne farà la sua amante, le comprerà perfino una casa e le aprirà, ovviamente, le porte del cinema, il fratello, che vivacchia tra Canova, via del Babuino e Menghi, la trattoria per artisti squattrinati, viene raccomandato dallo stesso Germi al suo sceneggiatore che sta iniziando un film da regista, “Lo sceicco bianco”. E lì scatta la passione.
fellini e rossi il sesto vitellone
“Federico Fellini si innamorò perdutissimamente di Moraldo, almeno quanto Pietro era cotto di me”, scrive Cosetta Greco nel libro di memorie di Moraldo, “Fellini e Rossi” a cura di Tatti Sanguineti, “Moraldo a Mestre aveva lasciato un harem. Non era per nulla un amore di natura omosessuale quello di Federico per Moraldo, anche se molti lo bisbigliavano, ma era un rapporto molto carnale, quasi fisico. Vivevano in simbiosi, dragavano in coppia, non andavano mai a dormire”.
Nello stesso libro di Tatti, Moraldo spiegava le lezioni che gli dette Fellini in quei dieci folli anni di amicizia. La prima, in una Roma piena di giovani promesse squattrinate come loro, fu “sopravvivere senza soldi”. La seconda era legata allo sport.
“Lo sport preferito dei mesi tiepidi era acchiappare al volo i più bei culi di Roma. Avevamo un gioco audace e una tecnica superba, sia in singolo che in coppia”. Moraldo racconta così la caccia al culo di una ancora sconosciuta Sophia Loren in via dei Serpenti. “La proprietaria di quel paio di chiappe trionfali era troppo per la mia taglia e le mie forze, Altissima, chiusa in un vestitino leggero con natiche e spalle prorompenti, passo da bersagliere su gambe da trampoliere. Allora si decide lui, e io dietro: ‘Stiamo cercando delle belle ragazze per un film… e vorremmo il suo telefono’.
Non ho penna, non ho carta; la penna ce la offre lei, il telefono lo segno sul retro della mia patente; mi rimarrà scritto per una ventina d’anni: Sophia Lazzaro, attrice di fumetti”. Moraldo, nel suo libro, racconta di un Fellini che si presenta con la frase “io sono due occhi aperti sul mondo”, che si vanta della sua “disponibilità”, del poter “svoltare a destra piuttosto che a sinistra, per le strade della città piuttosto che per via Cassia, ‘la più bella strada del mondo’, di giorno e di notte”. Un Fellini ben lontano dal regista despota che conosceremo dopo.
“Era voluttuosamente aperto a tutto: i due occhi aperti erano anche due orecchie sensibilissime aperte agli umori dei componenti della troupe e ai suggerimenti delle maestranze. Specialmente quando venivano espressi sotto forma di folgoranti battute romanesche”.
Un Fellini che alla domanda-tormentone del tempo “Che cos’è il neorealismo” risponde pronto: “Uno stato d’animo”. Su “Lo sceicco bianco” Moraldo è segretario di edizione. Ma è da subito qualcosa di più. Oltre tutto si muove in una Roma cinematografara fatta di personaggi incredibili. Un Alberto Sordi che “bruciava le pause. Scalava di marcia. Piazzava controtempo parolette non previste”.
Un Leopoldo Trieste, detto Poldino, Leopa, Poldissimo, arrapatissimo, “A Leopoldo, interessavano le femmine”, che si iscrive al Centro Sperimentale solo per continuare a vedere Adriana Benetti di Comacchio che ha pedinato tutto un giorno fino a casa. Uno che ci provava sempre. Diventa presto così uno tre moschettieri delle scorribande di Moraldo e Federico. Senza scordare Roberto Rossellini, il maestro. E’ a lui che Fellini mostra, prima di tutti, il suo film. E Rossellini, glielo massacra. E qualcosa si rompe per sempre fra di loro. ”Sai Moraldo, Rossellini è un genio. Ma solo sulle cose sue”.
cosetta greco il brigante di tacca del lupo
Moraldo ci ha riportato, ancora vivissime, le testimonianze sul primo Fellini, “costantemente con le saccocce vuote”. Così scroccano le diecimila lire da Cosetta Greco che stava facendo i soldi come star dei film di Germi, “La città si difende” e “Il brigante di Tacca del Lupo”. “Cosettina… scusa sai”, fa Fellini, “è che siamo passati di qua e abbiamo pensato a te… poteva far una capatina a casa che c’è Giulietta… ma visto che siamo qui… con Moraldino… buttaci una diecimila… che poi passo nel pomeriggio a restituirtela”. I tre vanno anche al cinema, anche se Federico non voleva far la fila, odiava vedere i film per intero.
Ma “Rashomon gli rimase appicciato per sempre”. Mentre “Il cavaliere della valle solitaria”, costretto a vedere per intero perché accompagnava Giulietta, lo trova “un fumettone infinito”. Fuge da “Il grido” di Michelangelo Antonioni dopo dieci minuti urlando “Ma che cazzata che ha scritto Ennio Flaiano!”.
Il libro di Moraldo e di Tatti è una specie di anfora magica piena di qualsiasi storia del tempo legata a Fellini e in pratica a tutto il cinema italiano del tempo. Dal ritratto dello scenografo Piero Gherardi, “il solo con Otello Martelli che potesse avere il sopravvento dialettico almeno momentaneo con Federico” alla vendetta che compiono ai provini contro lo scopatore numero uno di Cinecittà, Maurizia Arena. Rifiutato perché ha pancia “Non vedi che ci hai le ciambelle?”.
Per non parlare dei rapporti coi circensi del tempo quando si iniziò a costruire “La strada”. Gli Zamperla, gli Uckmar, il mitico Saltanò, “ex domatore dal fisico di orso col faccione segnato da cicatrici” che dette il nome e il fisico al personaggio dello Zampanò di Anthony Quinn, mischione di Zamperla+Saltanò. Forse è questa l’opera maggiore che ci abbia davvero lasciato Moraldo, che anche in questi ultimi anni si è sentito abbandonato dall’amico del cuore.
Del resto sua sorella Cosetta glielo aveva detto quando venne abbandonato: “Tu Moraldo, sei un ignorantone. Sei il solo di tutti quelli del giro di Fellini ad essere più ignorante di lui. Ma guarda che Federico la sera ha smesso di andar per mignotte e ha cominciato a leggere”. L’ultima volta che lo vide fu da Canova nel 1993, poco prima dell’operazione in Svizzera che lo massacrò.
Gli chiese: “Dimmi la verità, Moraldo! Quella fotografia… era un fotomontaggio?”. La fotografia in questione venne scattata da Paolo Nuzzi, un aiuto regista, in una pausa de “Le notti di Cabiria” e mostrava Moraldo nudo, “in una posa di virilità trionfante” con una bella ragazza. “Ero un katzone, un Katzanova”, si vanta Moraldo raccontando la storia. “Federico era più un katzino”.
E gli risponde, “Ma certo che era un fotomontaggio, Federico, uno stupido, volgare fotomontaggio…”. Giusto finale per la loro storia d’amore. E qualcosa dei suoi racconti sentirete stasera su Hollywood Party nella trasmissione di Radio Rai Due che Steve Della Casa dedicherà a lui. Arriverderci Moraldo e grazie di tutto quello che ci hai raccontato.
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