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MASTER-PEACHES - CHI E’, CHI NON E’ PEACHES, LA PERFORMER POST-PUNK PIÙ ADORATA DALLE STAR: “SONO SOLO UNA CHE VORREBBE FARSI RACCONTARE DA MADONNA TUTTE LE STORIE DI SESSO OSCENO CHE HA VISSUTO'' - GLI OMAGGI DI YOKO ONO E MICHAEL STIPE

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Guido Andruetto per “la Repubblica”

 

L’odore del giorno è impastato di fumo ed alcool. «Abbiamo bevuto tutti parecchio champagne — racconta da New York Merrill Nisker, in arte Peaches, ancora in

hangover dopo la sua performance al Capitale, sala da ballo di Manhattan, sulla Bowery — ma la cosa più forte della serata è stata quando ho cantato Boys Wanna Be Her ».

 

Non è servito allestire un palco per la furiosa regina dell’electroclash, eroina di un nuovo femminismo post-porno, post-punk e post-trans che da oltre quindici anni sta spingendo ai limiti per abbattere — anche con la musica — i confini di genere sessuale. Le è bastato salire in piedi su un tavolo apparecchiato per generare il caos con la sua vitalità selvaggia e un’aggressività rapace.

 

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Peaches usa il microfono come un oggetto contundente. È l’arma impropria e la protesi fallica di cui si serve per rompere gli steccati di genere e le divisioni sociali. Originaria di Toronto ma trapiantata a Berlino e oggi di base a Los Angeles, può essere considerata una Lady Gaga ante-litteram ma molto radicale e molto più provocatoria. A un festival ad Amburgo salì sul palco indossando un’armatura di enormi seni di silicone con le teste delle Barbie al posto dei capezzoli. Non certo l’unica, né l’ultima, delle sue provocazioni.

 

La sua musica ha avuto su molte persone un effetto dirompente, dicono addirittura liberatorio.

«Mi hanno detto che in alcune università i testi delle mie canzoni sono oggetto di discussione. È una cosa che mi rende orgogliosa di quello che faccio».

 

Ha anche un sacco di fan importanti a quanto pare: Yoko Ono, John Malkovich, Iggy Pop, Ellen Page, Michael Stripe...

«Sì e la cosa bella è che persone come loro — penso ad esempio a Ellen Page — adesso che sono famose possono aggiungere la loro voce alla mia».

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Ha sostenuto il gruppo punk delle russe Pussy Riot, a suo tempo chiedendone a gran voce la liberazione. Quanto si sente simile a loro?

«Ne apprezzo la tenacia, la volontà di ferro con cui portano avanti le loro idee e rivendicazioni. Mi piacerebbe incontrarle presto per qualche progetto insieme, cosa che in un certo senso è già avvenuta quando ho realizzato il video Free Pussy Riot . Volevo esprimere tutta la rabbia per la loro detenzione e per la repressione che hanno subìto da parte del governo russo. Il video è diventato virale e ha contribuito a richiamare l’attenzione sul loro caso».

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L’hanno chiamata addirittura dal Texas conservatore per partecipare all’Austin Pride. Come sta procedendo la sua battaglia contro i “ruoli di genere”?

«Si sono fatti molti passi in avanti, ma credo che siamo ancora all’inizio. Il vero valore della libertà individuale è la possibilità di decidere per se stessi e di diventare la persona che vogliamo essere. Non ho mai creduto nella rigida separazione tra i sessi e quindi non è stato difficile per me sbarazzarmi di questi preconcetti. Ma nel mondo sono ancora forti e vanno scardinati».

 

Chi incontrerebbe più volentieri tra Madonna e Lady Gaga per parlare di questi temi?

«Sicuramente Madonna, ha molta più esperienza alle spalle. Mi piacerebbe molto entrare nel suo cervello per sapere che cosa pensa davvero. Ma, prima di qualsiasi altra cosa, ovviamente le chiederei di raccontarmi nel dettaglio tutte le storie di sesso osceno che ha vissuto».

 

Il suo nuovo album, “Rub”, trasmette un’aria di festa. È d’accordo?

«Sì, è un po’ come se la lotta ormai fosse vinta. Diciamo che sono ottimista».

 

2. MICHAEL STIPE. NON SENTIVO NIENTE DI SIMILE DA QUANDO ASCOLTAI I PISTOLS

Da "la Repubblica"

 

Avevo sentito parlare di questa Peaches e non sapevo bene cosa aspettarmi, ma ero abbastanza sicuro che non stava parlando a me . Quanto mi sbagliavo. Ho sentito la prima canzone e ho riso, e mi sono chiesto perché nessuno avesse fatto una cosa del genere prima. Era genio assoluto.

 

Era tantissimo tempo che non mi sentivo così: mi sentivo come la prima volta che avevo ascoltato i Sex Pistols, gli Stranglers, David Bowie, i Public Enemy, Missy Elliott. C’era qualcosa di nuovo, ed era in quel preciso momento. Nei tredici anni in cui ho seguito da vicino le scelte di carriera di Peaches queste sono le conclusioni a cui sono giunto.

 

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È spavalda. È iconoclasta. Travalica le barriere di genere. È audace e offensiva. È isterica, brillante, armoniosa. Sì, è epifanica. Ovvio, è rivoluzionaria. È inquietante, sexy e assolutamente schiva.

È vulnerabile: oh sì. E questa, proprio questa, è la sua grande forza come artista e come performer. Peaches è una che definisce la sua epoca, e parlerà in nome di tutti noi se noi non saremo in grado di parlare per noi stessi.

 

È abbastanza coraggiosa da essere completamente umana. Già solo questo è un atto coraggioso. Peaches lascia condividere agli altri la sua vulnerabilità, poi la trasforma in una componente importantissima della sua forza. Dalla “Cut Piece” di Yoko a “Peaches Christ Superstar”, a “Peaches Does Herself” fino anche alla sua breve incursione nella disco music commerciale.

 

È fegato come non si vedeva dai tempi di Patti Smith; è i Die Antwoord, è Kim Gordon, è gli Nwa. Affronta tutto senza paura, è la mia idea di eroe, di eroina, di progresso. Un’icona, che era stata imprigionata e che ora è pronta a entrare in azione.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

 

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3. YOKO ONO.NUDA SU UN PALCOSCENICO SPOGLIO IN LEI HO VISTO LE ARTISTE DEL FUTURO

Da "la Repubblica"

 

Peaches ha eseguito la mia opera “Cut Piece” al Meltdown Festival di Londra, nel 2013. Se ne parlò tantissimo. Personalmente trovai interessante che tutta la sua interpretazione fosse sussurrata. È un’opera che esige di essere sussurrata.

 

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Dietro le quinte mi disse, con estrema disinvoltura, che non aveva nessun problema a denudarsi completamente. E alla fine, quando è salita sul palco, ho capito cosa intendeva. Se ne stava seduta in silenzio, e il suo corpo esprimeva un intero universo. Trasmetteva sensibilità, vulnerabilità e forza, tutto con estrema dignità. Credo che nessuno riuscirà mai a mettere in scena quell’opera con così tanta eloquenza.

 

Con Peaches ho scoperto chi sono le nuove artiste della performance. Donne che non hanno paura di essere belle e di mostrarlo. Mentre per noi, femministe del passato, era importante apparire come soldatesse per pensare di essere prese sul serio. Ma non solo. Allo stesso tempo queste artiste non hanno paura nemmeno di mostrare la loro fragilità, né intelligenza. In poche parole, non hanno paura di essere semplicemente se stesse.

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Peaches ha espresso tutto questo stando seduta nuda su un palcoscenico completamente spoglio. Un’intera sinfonia non avrebbe potuto eguagliare quello che lei ha fatto.

 

 

4. ELLEN PAGE: QUEL CONCERTO DA RAGAZZINA CHE MI HA CAMBIATO LA VITA

Da "la Repubblica"

 

Avevo sedici anni quando andai per la prima volta a uno spettacolo di Peaches. Mi ero trasferita da Halifax, Nuova Scozia, dove era rarissimo che passassero i musicisti importanti, a Toronto, ed ero eccitatissima dall’opportunità di vedere un’artista che adoravo. Io e la mia migliore amica arrivammo all’Opera House con un anticipo enorme, come non avevo mai fatto per nessun altro evento. Ci piazzammo in prima fila, col corpo premuto contro il palco, ballammo, e sudammo da morire. Quella sera successe qualcosa di particolare e voglio raccontarvelo (non ho mai raccontato nemmeno a Peaches questa storia).

 

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A un certo punto, durante il concerto, Peaches mostrò un’espressione molto preoccupata. Il viso le si contorse e sembrava che stesse per perdere l’equilibrio: si chinò in avanti mettendo le mani sulle ginocchia e cercando di riprendersi.

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Oh no, pensai, Peaches sta male! E infatti cominciò ad avere conati: la musica era cessata improvvisamente e c’era questa poveretta che stava per vomitare sul palco. Poi cominciò a rimettere, ma era sangue quello che sputava sul pubblico. Ed era finto. La musica riattaccò, tutti urlavano; io ero ricoperta di sangue e avevo le mani per aria, e Peaches mi afferrò facendo scorrere la mano dal gomito al polso, spargendomi il liquido rosso su tutto il braccio.

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Quando la serata finì, io e la mia amica eravamo superelettrizzate. Guardavamo il “sangue” sparso sul mio braccio. Lo show era ancora con noi, lei era ancora con noi, e io non volevo perderlo, e feci tutto il possibile per conservare quel marchio. Cominciai a farmi la doccia tenendo il braccio fuori dalla tendina. Non ricordo bene per quanto tempo, di sicuro non tanto quanto avrei voluto, ma di sicuro almeno per una settimana o due.

 

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Peaches è stata senza dubbio una delle musiciste più importanti della mia vita. Per una sedicenne lesbica, lei offriva qualcosa che non potevo trovare altrove. Una voce che diceva: fanculo alla vergogna, fanculo alla visione del sesso a dominanza maschile, fanculo agli stereotipi di genere, abbraccia i tuoi desideri, sii padrona di te stessa.

 

Peaches è radicalmente se stessa, come poche altre persone riescono a essere. Anche se è sfacciatamente sessuale, spavalda, aggressiva, instilla nella sua opera dei momenti di vulnerabilità bellissimi. Come ci riesce? Forse è questo il segreto: il fatto di esistere nel mondo in un modo così vero e sincero produce opere di un’integrità straordinaria. (Traduzione di Fabio Galimberti)

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