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Jaime D’Alessandro per “la Repubblica”
Arriveranno anche in Italia, perché anche da noi il 40 per cento degli abitanti non è ancora connesso al web e loro vogliono raggiungere tutti. Tutti quelli che restano: quattro miliardi di persone che nel mondo ancora non hanno accesso alla rete, dalle zone più remote dell’Africa a quelle più refrattarie dell’Europa. Il piano è già in atto, progredisce passo dopo passo a un anno dalla sua nascita.
Internet. org di Facebook venne lanciato nell’estate del 2014 in Zambia e ora, dai dieci paesi dove è presente, vuol superare i cento entro la fine dell’anno. “Possiamo farcela”, recita uno slogan sul sito. Ed è probabile che andrà così. Il progetto fornisce una connessione dati basilare da telefono e lo fa gratuitamente grazie a una serie di accordi stretti con le compagnie di telecomunicazione.
Basta sottoscrivere il contratto, che durerà per sempre, e da quel momento in poi si potrà entrare in una versione semplificata del social network di Mark Zuckerberg, privo di foto e video per ridurre al minimo il peso delle informazioni scambiate, più una serie di altri servizi come Wikipedia o Bbc News. Il numero delle applicazioni cambia di paese in paese. In India, dove Internet. org è sbarcato a febbraio, assieme a Facebook ce ne sono quasi quaranta. Meno in Ghana, Colombia, Kenya, Tanzania, Indonesia, Filippine, Tanzania, Zambia e Bangladesh. Ma comunque in numero sufficiente per consentire alle persone di comunicare e di informarsi.
«Si tratta di dare, a quel 52 per cento dell’umanità che è rimasto fuori, i servizi fondamentali che tutti dovrebbero avere », spiega contento Chris Daniels, il vice presidente di Facebook a capo di Internet. org. Capelli rossi, occhiali sottili, carnagione molto chiara, ha l’aspetto da ragazzino per bene. Un Richie Cunningham, quello di Happy Days, versione Silicon Valley. Racconta la sua idea col candore d’altri tempi che si respira spesso fra chi lavora per i colossi americani del web.
Un positivismo senza incertezze, dietro il quale però alcuni leggono la volontà di controllare il mondo più che di miglioralo. Ma che siate del partito di Dave Eggers, che nel suo ultimo romanzo Il Cerchio ( Mondadori) ha dato corpo agli incubi peggiori legati ai colossi del web, o che invece crediate davvero che si tratti di Progresso con la P maiuscola, la portata di Internet.org e la sua messa in pratica in appena un anno rappresenta una rivoluzione.
La sicurezza con la quale Daniels parla lascia trapelare tutta l’esperienza che ha alle spalle: assunto dalla Lehman Brothers nel 1998, è stato a lungo alla Microsoft approdando a Facebook nel 2011. I numeri esatti dell’operazione si rifiuta di fornirli, ma ci tiene a sottolineare che il team che ci sta lavorando non è piccolo e che per Facebook si tratta di uno sforzo notevole da ogni punto di vista. Il bello è che questa rivoluzione sta avvenendo in una forma decisamente “low-fi”. Il 90 per cento delle persone raggiunte da Internet.org naviga attraverso cellulari 2G.
Ma questo non significa che non lo usino in maniera intensiva, come infatti pare avvenga in Zambia. «Quando abbiamo aperto Amazon in India», racconta Diego Piacentini, vicepresidente della multinazionale fondata da Jeff Bezos, «non pensavo avremmo avuto tanto successo. Né che il 60 per cento dei nostri utenti sarebbe arrivato attraverso telefoni 2G. Ecco perché stiamo studiando un sito molto più leggero per consentire una navigazione più facile».
Ma c’è anche chi, come Google, quando parla di web parla della rete in tutto il suo splendore: video, immagini, servizi di ogni tipo. Anche perché a Mountain View hanno diversi servizi sui quali puntano, iniziando da YouTube.
Di qui una serie di progetti pensati per aree diverse del mondo: Project Fi negli Stati Uniti, per avere da smartphone la connessione migliore automaticamente passando dal wi-fi all’Lte e da operatore a operatore; Google Fiber, una rete sperimentale ultra veloce a 1000mbps in Kansas e Missouri; Project Link in Africa per sviluppare le infrastrutture in fibra ottica; Titan, pensato per le zone colpite da cataclismi dove portare internet con i droni; Project Loon, per dare accesso alla rete attraverso palloni aerostatici in zone del pianeta dove gli operatori telefonici non hanno interesse o non possono portarla.
«Per ora è un progetto sperimentale», spiega Katelin Jabbari che lavora a Loom nella divisione Google X. «Abbiamo fatto test in Australia e Nuova Zelanda e siamo riusciti a offrire un accesso veloce, 4G, in maniera stabile. I palloni aerostatici sono molto più economici di un satellite e li puoi far volare dove serve, portando il web vero e non una sua forma ridotta», conclude lanciando una frecciatina a Facebook. Anche se alla fine l’obbiettivo è esattamente lo stesso. Connettere l’intera umanità, nessuno escluso, nel più breve tempo possibile.
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