pupi avati

“FACEVO IL VENDITORE DI PESCE SURGELATO ALLA FINDUS, UN GIORNO VIDI ‘OTTO E MEZZO’ DI FELLINI. E DECISI CHE AVREI FATTO CINEMA” – PUPI AVATI, CHE VERRÀ PREMIATO MERCOLEDÌ CON UN DAVID ALLA CARRIERA, APRE LE VALVOLE: “E’ L’AMBIZIONE A TENERMI IN VITA. LA MIA MORTE LA IMMAGINO SUL SET SENZA DARE L’ULTIMO STOP” - LA “FURIOSA INVIDIA” PER LUCIO DALLA, I SALOTTI ROMANI “SOLO DA SPETTATORE”. (“UNA SERA INVENTAI CHE MIA MADRE ERA ASSESSORA DELLA DC AL COMUNE DI SAN LAZZARO E CHE A CASA VOTAVAMO LO SCUDOCROCIATO. CALÒ IL GELO”), IL FILM CON PROIETTI RITIRATO PER OSCENITA’ E L’AMICIZIA CON ROMANO MUSSOLINI...

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Filippo Maria Battaglia per “la Stampa” - Estratti

 

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Sul tavolo dello studio romano di Pupi Avati c’è una foto in bianco e nero. Risale agli anni Cinquanta e lo ritrae insieme a una trentina di suoi compagni di liceo. «Guardi il nostro abbigliamento - dice il regista sorridendo - non si capisce in quale stagione sia stata scattata: c’è uno in canottiera e uno col cappotto, ognuno si metteva ciò che aveva. Eravamo orrendi». Avati dice di non essere mai stato bello, e di avere avuto invece un papà affascinante, «con un notevole autocompiacimento: girava nudo per casa senza che mia madre si scandalizzasse più di tanto».

 

 

(...)

 

Lei che studente è stato?

«Pessimo. Frequentai Scienze politiche, a Firenze, con l’ambizione di diventare un diplomatico, ma nell’unico esame che sostenni feci scena muta. Ero atteso a Bologna da una festa che per l’occasione mia madre aveva organizzato, decisi così di darmi un “26”. Lo scrissi nel libretto e tornai a casa».

 

Già allora aveva iniziato a suonare il clarinetto?

«Sì, fu una passione nata da un deficit estetico: ero basso, non piacevo alle ragazze, ma con uno strumento tutto cambiava. Iniziai a suonare in una bandea girare l’Europa».

 

Ha smesso dopo aver conosciuto Lucio Dalla.

«Era ancora un ragazzino quando si unì a noi: durante un concerto improvvisò un assolo strepitoso. Mi ritrovai così a convivere con una furiosa invidia».

 

Smise con la musica e iniziò a lavorare.

«Alla Findus, grazie a una raccomandazione ottenuta da mia madre in curia. Eravamo undici missionari che si aggiravano in città con la lieta novella dei surgelati».

 

Era bravo?

«Sapevo che se avessi guadagnato avrei potuto sposare la donna della mia vita».

serena grandi pupi avati francesca neri alba rohrwacher

Amelia Turri, con cui sta insieme da più di 60 anni.

«La prima volta che la vidi, avvertii subito che era la tessera del puzzle che mancava».

 

Quanto tempo andò avanti coi surgelati?

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«Quattro anni. Poi un giorno vidi Otto e mezzo di Fellini. E decisi che avrei fatto cinema. Si immagini: un venditore di pesce surgelato di Bologna che vuole fare cinema solo per aver visto un film: le sembra semplice?».

 

No. Come fece?

«Iniziai a scrivere a tutti. L’unico che rispose fu Ennio Flaiano, intimandomi di non scrivergli più».

Poco dopo, però, accanto alla macchina da presa, ci si trovò davvero.

«Grazie a un mio amico, il pianista Romano Mussolini. Era il cognato di Sophia Loren e conosceva suo marito, il produttore Carlo Ponti. Gli vennero affidati un paio di film e mi propose di fare l’assistente».

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E come andò?

«Passai le ferie a Roma e tornai convinto di aver imparato un mestiere. In realtà, sapevo solo dire “azione”. Ma poi accadde un miracolo. A Bologna incontrai un calabrese albino, di cui non seppi mai il nome, che mi diede una montagna di milioni per girare il mio film d’esordio».

 

Il risultato?

«Fu un disastro. Tornai dal finanziatore e lo convinsi che stavolta eravamo pronti a fare il capolavoro che si meritava».

 

Nacque così “Thomas e gli indemoniati”, che segnò il debutto di Mariangela Melato.

«Io, in realtà, avevo scelto un’altra protagonista, ma al primo ciak mi trovai di fronte questa ragazza minuta coi capelli ricci. Disse: “La mia amica non poteva, ha mandato me”. Mi infuriai, ma appena iniziò a recitare capii Lucio Dalla era un ragazzino quando si unì a noi: improvvisò un assolo strepitoso subito che era straordinaria».

 

(...)

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«Provai a coinvolgere in un altro film Paolo Villaggio. Lo braccai dopo un lungo inseguimento al torneo di tennis che Ugo Tognazzi organizzava a Torvaianica. Appena mi vide, Villaggio scappò via. Gli lasciai il copione su un tavolo nel più totale sconforto. Dieci giorni dopo mi cercò uno dicendo di essere Tognazzi. Pensai a uno scherzo».

 

E invece?

«Era lui: aveva trovato per caso il copione, gli era piaciuto. Fece il film. Gratis, e con Villaggio come personaggio secondario».

E lei iniziò così a frequentare i salotti romani.

«C’erano Alberto Moravia, Bernardo Bertolucci, Enzo Siciliano: avrei venduto l’anima pur di entrare in quel giro, invece ero ai margini. Invitato, certo, ma solo come spettatore. Decisi di sparigliare. Una sera inventai che mia madre era assessora della Dc al comune di San Lazzaro e che a casa votavamo lo scudocrociato. Calò il gelo».

 

Addio salotti romani. Nel frattempo però continuò a girare: “Bordella”, il suo quarto film, fu ritirato per oscenità. Il protagonista era Gigi Proietti.

«Un grande attore, con una strepitosa inclinazione per la commedia brillante. Nei miei film, invece, c’è sempre qualcosa di struggente».

 

Eppure lei ha scoperto il profilo drammatico di molti comici.

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«Sì, ma per far sì che funzioni il comico deve vivere una crisi.

Come è accaduto a Diego Abatantuono».

 

La sua interpretazione nel film “Regalo di Natale” ne segnò in effetti la rinascita.

«Fu un azzardo: a metà anni Ottanta Diego era scomparso, aveva aperto unnight a Rimini. E soprattutto non aveva mai fatto il cinema spogliato da un certo linguaggio. Invece fu bravissimo».

 

Lei oggi ha 86 anni: il 7 maggio riceverà il David di Donatello alla carriera. Sta pensando al suo nuovo film, il 56esimo: non si sente stanco?

«No. Anche se appaio così umile, in realtà sono ambiziosissimo, ed è questa ambizione a tenermi in vita. A proposito: posso raccontarle come immagino lamiamorte?» Prego.

«Sono sul set, spiego all’attrice che quando resterà sola dovrà girarsi verso la macchina da presa e piangere. E così accade, dopo il ciak. Passano i minuti, lei continua a piangere, nessuno dice stop. Tutti mi guardano, io intanto mi sono addormentato per sempre. Che ne dice? È una bella fine, no?

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