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Se la prima fila del teatro era vuota, gli uomini si fiondavano a riempirla per vedere le succinte performer più da vicino, gettandosi in una corsa ad ostacoli e scazzottandosi proprio mentre si alzava il sipario.
La regola d’oro osservata da “The Windmill” era: «Se si muove, è volgare», così la produzione aveva aggirato le leggi in vigore e trovato un appiglio, nel 1931, permettendo alle donne di posare nude come “statue viventi”. Van Damm, il manager del teatro, aveva convinto il censore Lord Cromer che mostrare nudità non era osceno, non poteva essere immorale se si trattava di signorine in posa, fisse, immobili, dei “tableaux vivants”.
La cosa scandalizzò il mondo e, per 33 anni, gli uomini attraversarono mari e monti pur di godersi uno spettacolo a Soho. Gli abiti erano risicati, gli show erano sei al giorno, e i clienti stavano lì piazzati dal primo all’ultimo. Poi, 50 anni fa, il sipario calò. Nel 1958 erano arrivati gli strip club, molto più espliciti, e gli “Swinging Sixties” avrebbero portato una ventata di liberazione sessuale.
Il 31 ottobre 1964 quelle nude “statue viventi” apparivano terribilmente fuori moda. Per ricordare “Il Mulino”, Jill Shapiro, una delle sue ex ragazze, ha scritto il libro “Remembering Revudeville”, pubblicato da “Obscuriosity Press”, e il prossimo anno, a Bath, debutterà il “And Mrs Henderson Presents...The Musical”.
Sin dall’inizio il “Windmill” si spinse oltre i confini della decenza. Il desiderio di mostrare ragazze più giovani possibili fece sì che alle audizioni si presentassero anche minorenni. In media avevano 19 anni, ma alcune mentivano sull’età e si reclutavano anche tredicenni (vedi Jean Kent). Van Damm ancora oggi, a 71 anni, difende quelle artiste che dai conservatori venivano considerate “poco di buono travestite da performer”.
Non era un luogo squallido. Le ragazze erano gentili, non guardavano nemmeno gli spettatori negli occhi. Era un’oasi di innocenza nel cuore di Soho. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il teatro trionfò. Furono inseriti i balletti, i movimenti, gli spettacoli a tema bellico, lo slogan era “We Never Closed” (Non chiudiamo mai), spesso cambiato in “We Never Clothed” (Non ci vestiamo mai). E in effetti le ballerine non si fermarono nemmeno durante i raid aerei.
“Il Mulino” era considerato un servizio pubblico: in fondo la maggior parte dei soldati non aveva mai visto una donna nuda prima di allora. Le truppe non pagavano il biglietto in speciali occasioni, tipo il "VE Day” (8 maggio).
Negli anni Sessanta il palco fu calcato per lo più da comici tipo Peter Sellers, Bob Monkhouse e Benny Hill. Ma il pubblico, se non c’era una donna in mostra, era spietato con gli attori. Si tentò di fondere sensualità e commedia, ma non fu abbastanza. Il varietà era passato, la rivista pure, la società aveva perso qualsiasi innocenza.
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