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selfie generation damon albarn
Claire Carter per “Mail On Line”
E’ stato il motore del Brit Pop con i suoi Blur e insieme agli Oasis, e oggi Damon Albarn commenta la situazione del mondo della musica, zeppo di banalità, autoreferenzialità e autocommiserazione.
Nell’intervista al “Sunday Times” parla degli attuali artisti pop come star della “selfie generation” interessate a parlare solo di sé, vedi Sam Smith che parla di relazioni fallite e Taylor Swift che non fa che raccontare dei suoi ex ragazzi e dei suoi patimenti d’amore (ultimamente del cancro di sua madre).
Non guardano cosa succede intorno e Damon si domanda: «Che cosa dicono? Non sento nient'altro che “Questo sono io ed ecco come sto”. E' una parte importante nella scrittura delle canzoni ma siamo in un contesto di elezioni». Vorrebbe che usassero la musica per parlare di temi sociali e politici.
Non era così un tempo: «Sono cresciuto con gruppi come Specials e Clash. Anche nelle canzoni pop dei Madness c’era un commento alla società». Forse, ipotizza “The Independent”, la politica odierna è così presente anche sui social che le popstar non sanno più dove stanno le barricate.
Il “Telegraph” parla della generazione più narcisista mai vista. Non solo utenti comuni girano per il mondo postando autoscatti su “Instagram”, “Facebook” e “Twitter”, ma artisti, celebrità, chef, giornalisti, tutti si interessano all’immagine e al profilo pubblico. Dagli scatti si cancella ciò che è scomodo, ogni ruga e imperfezione. E non è più solo la cronaca digitale delle nostre vite. E’ un’alterazione. Esistono app per sembrare più magri, più alti, per rendere i denti più bianchi, i fianchi più stretti. C’è chi non usa mai lo stesso vestito in foto, chi si dedica a pose “estreme”, chi si focalizza sui dettagli come nel caso del “shoelfie”.
E’ una società vanitosa, che rende glamour ogni piccola cosa e usa la chirurgia estetica come fosse “Photoshop”. E’ così che creiamo il nostro posto nella comunità, è così che ci costruiamo una reputazione. Ansia e invidia sono l’altro lato dell’ambizione. Vediamo una foto migliore della nostra e ci confrontiamo, ne copiamo la strategia, ne postiamo cento altre, e ci allontaniamo sempre più dalla realtà. La dimensione privata è solo pubblica.
L’Associazione Psichiatrica Americana ha riconosciuto la dipendenza da “selfie” come disturbo mentale definendola “Selfie Syndrome”, che può essere occasionale, acuta o cronica, nascondere narcisismo o insicurezza. Ci piacciamo se piacciamo agli altri, dipendiamo pericolosamente dall’approvazione altrui.
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