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Lettera di Natalia Aspesi pubblicata da “la Repubblica”
Gentile Augias, amo la sua rubrica. Ieri lei ha parlato della deriva violenta della sinistra. Credo che la sinistra sia ormai perduta anche da noi, un’etichetta che non tiene conto del fatto che sta scomparendo ovunque. A parte le violenze, sono pietosi anche gli educati, chiusi nel disinteresse del mondo e nei propri interessi o invidie.
Chiarisco subito che malgrado stanchezza e noia, io voterò sicuramente Sì (augurandomi solo insulti cui sono abituata, ma non randellate); però non conosco nessun altro che lo farà, tranne la signora che mi aiuta in casa e che guardando la televisione avrebbe votato No, prima che le spiegassi che significa il referendum.
Mi impressiona il fatto che, pur essendo stato il Parlamento a votarlo, l’odio si riversi su Matteo Renzi come su nessun altro premier prima di lui (gli altri avevano i pro e i contro, vedi Berlusconi).
Inutile ripetere che del referendum tranne che a qualche sapiente non importa nulla a nessuno, mi piacerebbe però sapere cosa si vuole dopo lo sconquasso: ce lo dicano, gli esperti, chi sarà il prossimo leader da eleggere e subito dopo detestare. Bersani, già scartato, D’Alema già cacciato, il simpatico Salvini, l’antipatico Di Maio, la Lombardi, un Fratello o una Sorella d’Italia, Parisi, Gasparri, Verdini, addirittura Berlusconi?
Mi stupisce che non ci sia stato nessun effetto Trump a far riflettere. Negli Usa, mi dicono, il suo terrorizzante programma è stato giudicato pericoloso anche da molti che l’hanno votato. Ma lui ha urlato di più, è stato più minaccioso, più rozzo, più villano, più violento, più bugiardo, più ignorante: perciò più convincente.
Natalia Aspesi – Milano
2. LA RISPOSTA DI CORRADO AUGIAS
Credo anch’io, e credo molti altri in giro, che la parola “sinistra” come indicatore di valori e obiettivi sociali e politici, addirittura di luminosi orizzonti ideali, non significhi più molto in un mondo che sta conoscendo una rivoluzione senza precedenti con un ritmo vertiginoso su scala planetaria.
Se questa riforma costituzionale ha un senso è proprio nel suo fine di far acquisire all’azione di governo un passo più spedito su decisioni fondamentali che non possono rimbalzare tra le due Camere perché qualcuno ha cambiato un paio di aggettivi — mentre la finanza galoppa.
La propaganda politica si esprime ormai in modi sbrigativi e brutali che riguardano più l’enunciazione oratoria dei problemi che non la loro solida complessità. Ieri sera ho visto l’intervista che Matteo Salvini ha rilasciato a Floris su La7. In studio c’erano due valenti giornalisti, Massimo Giannini e Paolo Mieli, che hanno cercato invano di richiamare il battagliero esponente leghista alla realtà della situazione e della storia (per esempio sul sogno di tornare alla “lira” abbandonando l’euro).
Non c’è stato niente da fare; complice anche il poco tempo, Salvini ha sempre ribaltato le questioni portandole sul suo terreno mai rispondendo davvero alle precise obiezioni dei colleghi.
Aveva ragione lui ovviamente, come dice Natalia Aspesi nell’epoca della comunicazione veloce e approssimativa vince chi grida di più e con maggiore velocità. Quanto ai problemi, beh loro restano in agguato per saltare alla gola al primo che tenti di risolverli.
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