1. SONO APPARSO ALLA MADONNA! UNO SPLENDIDO LIBRO DEL FOTOREPORTER SERGIO RAMAZZOTTI, PREFATO DA DON PAGLIA, SVELA PERCHÈ LA M DI MARIA È DAVVERO UN “LOGO GLOBALE”, BEN PIÙ DELLA G DI GOOGLE, DELLA F DI FACEBOOK, DELLA T DI TWITTER 2. “L’HO VISTA TATUATA SULL’AVAMBRACCIO DI PIÙ DI UN UOMO, IN CERTI RIONI DI NAPOLI, RINCHIUSA NELLE NICCHIE FATTE APRIRE DAI BOSS DELLA CAMORRA CON CENTINAIA DI MORTI SULLA COSCIENZA, SULLE T-SHIRT IN VENDITA IN CERTI NEGOZIETTI POST-PUNK NEOZELANDESI, TESTIMONIAL DI UNA LOTTERIA NAZIONALE IN VENEZUELA, TRAMUTATA IN ATTRAZIONE TURISTICA IN UN PARCO A TEMA IN ARGENTINA, SUI TESSUTI USATI PER CONFEZIONARE GLI ABITI IN CAMERUN, , CRIVELLATA DAI PROIETTILI IN PAESI DISTRUTTI DALLA GUERRA”

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1. I LOVE MARY: UN LIBRO, 240 SCATTI
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«Tempo fa mi è apparsa la Madonna a Kabul. Non è accaduto in un momento di estasi mistica, bensì mentre camminavo in una via di periferia. La Vergine era appesa all'esterno della bottega di un venditori di tappeti». Inizia così la presentazione di Sergio Ramazzotti del suo libro I love Mary (Francesco Mondadori, 29 euro). Il fotogiornalista di guerra, nato a Milano nel 1965, autore di centinaia di reportage apparsi su diverse testate internazionali, ha selezionato 240 fotografie di immagini di Maria tra le oltre 5mila che ha scattato per vent'anni nei cinque continenti.

Da quella prima "apparizione" afghana, infatti, il volto della Vergine ha sorpreso il fotografo nei paesi più diversi e nei luoghi più disparati del mondo. L'ha ritrovata come motivo decorativo sulle confezioni sartoriali in Camerun, dipinta sulla fiancata di un autobus ad Haiti, crivellata dai proiettili in zone distrutte dalla guerra, appesa accanto alle immagini dei calciatori a Napoli, incorniciata nella case di boss della mafia in Sicilia, immortalata sui biglietti della lotteria in Venezuela.

«Dopo lungo tempo, questa sua straordinaria ubiquità non smette di stupirmi. Se c'è un vero logo globale, capace di penetrare nel cuore - e negli organi periferici - di paesi e culture dove l'autostrada dell'informazione non ha ancora previsto svincoli, e in alcuni casi magari capace di promuovere un dialogo su un terreno di reciproca comprensione, questo non è la F di Facebook, la G di Google o la T di Twitter: è la M di Maria».

2. PREFAZIONE DI DON VINCENZO PAGLIA
Arcivescovo Vincenzo Paglia
Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia

‘'Tempo fa mi è apparsa la Madonna a Kabul": inizia così la presentazione di Sergio Ramazzotti di questo suo singolarissimo volume. Fotografo di professione, Ramazzotti è abituato a scrutare quel che accade e a fissarne il segreto con l'obiettivo della fotocamera. Egli tiene a sottolineare che l'apparizione - forse la prima che lo ha come sorpreso - è stata improvvisa ed è avvenuta in una terra, l'Afghanistan, dove purtroppo ben più numerose sono le apparizioni dell'orrore e della tragedia.

Eppure, proprio in una stradina di periferia della capitale, Kabul, ecco apparirgli improvvisamente davanti agli occhi l'immagine di Maria. Non può fare a meno di fissarla con l'obiettivo. Da allora, è avvenuta la stessa cosa ovunque si recasse nel mondo, nei paesi più diversi e nei luoghi più disparati. Ovviamente, l'autore non parla delle apparizioni tradizionali, quelle riconosciute dalla Chiesa (come Lourdes, Fatima, Guadalupe) o le altre ancora sotto esame (a partire da Medjugorje), che vedono affluire milioni di persone assetate di protezione e di attenzione.

I ricercatori di questo straordinario fenomeno parlano di migliaia di apparizioni nel mondo.
Un recente Dizionario ne recensisce circa 2.500.
Fa riflettere la globalizzazione della devozione a Maria ovunque nel mondo. I love Mary è solo una raccolta di foto - una prima "raccolta di apparizioni", tiene a dire l'autore - di immagini di Maria che vengono proposte al pubblico con un audace volume. Va lodato l'editore per la coraggiosa iniziativa che offre una straordinaria devozione globalizzata.

Ha ragione l'autore nel sottolineare che la M di Maria è davvero un "logo globale", ben più della G di Google, della F di Facebook, della T di Twitter. Il volume non è nato da una sua iniziativa. Gli si è quasi imposto, tanto sono state forti e numerose queste "apparizioni" mariane, non solo a Kabul ma anche - come l'autore ricorda - a Baghdad, a Ho Chi Minh City, al Cairo, a Capo Horn e in tante altre città del mondo.

Parafrasando le parole che la stessa Maria ha cantato nel Magnificat, "tutte le generazioni mi chiameranno beata", si potrebbe aggiungere: "e in tutti i luoghi del mondo mi loderanno". Da secoli, a dire il vero, si è diffusa la venerazione a Maria, la Madre di Gesù, ovunque nel mondo. E così le sue immagini. La riconoscono ebrei, cristiani ed anche musulmani.

E non c'è luogo, particolarmente nei paesi di tradizione cattolica, che non sia segnato da edicole e immagini dedicate a Maria che la cantano con diversissimi e ricchissimi titoli. Un solo esempio, a Roma. Uno studioso come Ernest Renan, in viaggio nella città di Roma nel 1849, scrisse una lettera all'amico Barthelot nella quale manifestava il suo stupore nel vedere una moltitudine di "madonnelle", come nel linguaggio popolare vengono ancora oggi chiamate le edicole mariane: "Qui (a Roma) - scrive Renan - lo spirito è visibile ad ogni passo: nelle botteghe, persino nelle bettole, nei luoghi pubblici, ovunque trovate la Madonna col suo seguito di quadri, di statue, di luci. In cima ad ogni casa un segno di religione e spesso di gran dignità: ad ogni angolo di muro, pitture sempre di forte espressione".

Quel che Renan nota per Roma, si potrebbe dire che Ramazzotti lo verifica nel mondo. E ci rende partecipi del suo stupore: "Non l'ho mai cercata; giravo lo sguardo - scrive - e a un tratto lei era lì. Talvolta avevo la sensazione che fosse lei a trovare me, nonostante non sia più credente da un pezzo". Perché tale diffusione, anche nei luoghi più impensati? Perché la sensazione di essere più cercati da lei che noi a cercare lei? È il mistero di una presenza che va ben oltre noi stessi.

Ed è un mistero consolante. Nell'epoca della globalizzazione, come la nostra, è facile sentirsi spaesati: il mondo è troppo grande per sentirsi amati e protetti. Ed in effetti si radicano e crescono sentimenti di paura e insicurezza. La gente appare più sola e più triste. Del resto, è difficile essere sereni quando mancano punti di riferimento, quando il futuro è incerto.

Sembra aver ragione Jacques Lacan, il grande studioso della psiche umana, quando definisce i nostri giorni come quelli della "evaporazione del padre". Gli fa da contrappunto uno studioso italiano, Massimo Recalcati, che si chiede: "cosa resta del padre" Ebbene, I love Mary suggerisce, o meglio evidenzia, che la madre - Maria di Nazareth - non è "evaporata". Al contrario, è evocata ovunque, sia nei luoghi giusti che in quelli sbagliati (fanno impressione le immagini di Maria sul calcio della pistola o nelle dimore dei mafiosi...).
Ma c'è qualcuno che non abbia bisogno di una Madre, soprattutto quando si trova in un luogo sbagliato?

3. "I LOVE MARY" - INTRODUZIONE DELL'AUTORE SERGIO RAMAZZOTTI
Tempo fa mi è apparsa la Madonna a Kabul. Non è accaduto in un momento di estasi mistica, bensì mentre camminavo in una via di periferia. La Vergine era appesa all'esterno della bottega di un venditore di tappeti: era riprodotta, per l'appunto, su un tappeto decorativo, di quelli che in Afghanistan si usano per abbellire le pareti, e stava, poveraccia, a fianco di un altro tappeto che ritraeva Ahmad Shah Massoud, un signore della guerra tagiko che visse l'intera vita sparando ad altra gente, che morì in un attentato ordito da al Qaeda e che molti afgani venerano come un eroe nazionale.

In quanto madre di Cristo, che il Corano annovera fra le schiere dei profeti di Allah, Maria è rispettata anche nel mondo islamico (il libro sacro dei musulmani le dedica tutta la sura 19), ma vederne l'icona appesa in giro per le strade è raro, per non dire impossibile, giacché lo stesso Corano condanna la raffigurazione e l'idolatria dei profeti. Ecco perché, quel giorno a Kabul, mi fermai a chiedere al mercante di tappeti che cosa l'avesse spinto a esporre la Vergine. "Chi?" disse, "quella signora lassù? Come ha detto che si chiama?" Glielo spiegai, lui ci rimase di sale.

Disse che tempo addietro uno dei suoi fornitori gli aveva proposto "quel soggetto nuovo" e lui si era fatto convincere a comprarlo perché, dopotutto, era una bella donna e contava di rivenderla in fretta: "L'unica cosa che non mi tornava era quel cuore trafitto dalla spada" mormorò in tono meditativo. "Sa, credevo significasse che la donna era stata innamorata di qualcuno, ma poi il tizio l'aveva fatta soffrire e perciò a lei sanguinava il cuore." Il che, a pensarci bene, è una perifrasi che non si allontana troppo dalla verità.

Non è tuttavia solo a Kabul che la Vergine Maria mi ha sorpreso mostrandosi nel posto dove meno mi sarei aspettato di trovarla. È successo a Baghdad, a Ho Chi Minh City e in certi angoli remoti della Cina, ad Amritsar all'interno del tempio d'oro dei sikh, all'ombra dei minareti della vecchia Cairo, in una cappelletta di legno sul cocuzzolo di Capo Horn, in certi villaggi subsahariani dove la parola di Dio era arrivata, ma la sua misericordia, apparentemente, era ancora di là da venire.

Non l'ho mai cercata (con l'esclusione di un paio, nessuna delle immagini di questo libro è stata scattata in modo premeditato): giravo lo sguardo, e a un tratto lei era lì. Talvolta avevo la sensazione che fosse lei a trovare me, nonostante non sia più credente da un pezzo. O, chissà, magari proprio per questo. Dunque il libro che avete fra le mani non è, né ha la pretesa di essere, un catalogo ragionato e completo dell'iconografi a della Vergine sul pianeta.

È piuttosto, se mi passate l'espressione, una raccolta di apparizioni, registrate da una fotocamera in modo casuale, incostante e del tutto istintivo. Soprattutto, il fatto che il libro sia stato dato alle stampe non rappresenta un punto d'arrivo: è, casomai, il primo capitolo o bilancio provvisorio di una strana storia cominciata molti anni fa. Murree, nel Punjab pakistano, per fotografare un misterioso monumento che sorge isolato su una vetta nei paraggi, una tomba di pietra che da tempo immemorabile la gente del posto venera come il sepolcro di Mariam, la Vergine, madre di Issa, profeta di Allah.

Secondo una tradizione locale, dopo che Gesù fu assunto in cielo (il Corano nega la crocifissione), Maria fuggì verso Oriente finché, stremata dalle fatiche, trovò la morte alle pendici dell'Himalaya e qui fu sepolta. Per molti, anche il nome Murree, vecchio di un secolo e mezzo, non è casuale: si pronuncia "mari", e se è vero che in urdu significa "luogo elevato" (il villaggio è a quota 2300 metri), l'assonanza con Maria è quantomeno intrigante.
Comunque sia, la storia non è questa.

Da qualche tempo, dunque, giravo per le colline di Murree parlando con preti cattolici, pastori protestanti, imam, muezzin, tassisti e albergatori di Maria e del mistero della tomba, quando, un giorno che camminavo per il bazar, vidi qualcosa che mi lasciò a bocca aperta. Una giovane stava seduta su un muretto con un bimbo piccolo in grembo. Indossava un chador che, a parte il colore fucsia, sembrava le fosse stato drappeggiato addosso da Cimabue in persona, e mi fissava con uno sguardo pieno di dolcezza.

Ma soprattutto, nel sedersi si era inconsapevolmente appoggiata contro un segnale stradale di cui era rimasta solo la cornice, un cerchio di ferro arrugginito che troneggiava esattamente dietro la sua testa formando una perfetta aureola. Magari mi sarò lasciato suggestionare, ma quella ragazza, che Dio mi perdoni, era - per come la vidi in quel momento - in tutto e per tutto la Vergine in carne e ossa.

Non ebbi, si capisce, una conversione improvvisa: ma credo sia stato allora che decisi di fotografare la Madonna ogniqualvolta l'avessi vista, o meglio, ogni volta che lei avesse voluto mostrarsi. E in tutti questi anni si è mostrata, eccome, con un volto che talora acquistava i tratti somatici del paese in cui si trovava: gli occhi a mandorla in Vietnam, le fattezze carnose e i labbroni delle donne bantu in Nigeria, la sottigliezza da mantide di un bronzo di Giacometti in Burkina-Faso (a onor del vero, era Giacometti a ispirarsi alla scultura del Burkina-Faso, e non il contrario).

L'ho vista tatuata sull'avambraccio di più di un uomo e, in certi rioni di Napoli, rinchiusa (chissà se contro la sua volontà?) nelle nicchie fatte aprire dai boss della camorra con centinaia di morti sulla coscienza sulle facciate delle proprie case, e ancora sulle t-shirt in vendita in certi negozietti neozelandesi noti solo ai movimenti post-punk, disegnata da un graffi taro sulla facciata di un'officina meccanica a Milano, testimonial di una lotteria nazionale in Venezuela, tramutata in attrazione turistica in un parco a tema in Argentina.

L'ho vista stampata come motivo decorativo sui tessuti usati per confezionare gli abiti in Camerun, dipinta ad Haiti sulla fiancata di un autobus collettivo che, per quanto era malconcio, poteva continuare a muoversi solo grazie a un miracolo, crivellata dai proiettili in paesi distrutti dalla guerra, sfigurata in volto da graffi rabbiosi (nonostante quella sura 19 di cui si diceva all'inizio) in altri dove Islam e Cristianesimo si erano improvvisamente scoperti nemici.

L'ho vista incorniciata, appesa a mille muri, una presenza discreta nelle pizzerie, nelle stazioni di servizio e nei commissariati di polizia, o una presenza clamorosa e stucchevole - sotto forma di apribottiglia, portachiavi, contenitore per acqua benedetta, statuetta ricordo - nei fondachi spontanei sorti (ancora: chissà se contro la sua volontà?)
attorno ai luoghi a lei sacri.

Una delle ultime volte che l'ho vista, prima di scrivere queste righe, è stato in un momentaccio. Ero su un peschereccio, di quelli utilizzati dai rivoluzionari libici di Bengasi per portare aiuti a Misurata. Avevamo navigato per quaranta ore, ed eravamo al largo del porto della città stretta d'assedio dalle truppe di Gheddafi, in attesa di poterci avvicinare. Il porto era sotto i bombardamenti, noi avevamo a bordo quasi dieci tonnellate di munizioni ed esplosivo che, se fossimo stati colpiti da un missile, ci avrebbero fatti saltare fino alla Luna, e io, come tutti, ero piuttosto teso.

Beh, la prima sera che ci accingiamo a trascorrere alla fonda entro nella cabina che condivido con il meccanico di bordo, un cristiano della Nigeria, e scopro che costui ha abbandonato il suo telefono cellulare sulla mia cuccetta: lo prendo per riporlo, e sul retro, attaccata col nastro adesivo, piccola come un'unghia, c'è la Vergine che mi guarda.

Ripeto: non ho più la fortuna di credere in lei, ma in quel momento mi sono sentito bene, come quando vi invitano comunque a una festa alla quale non avete mai avuto intenzione di partecipare. Dopo lungo tempo, questa sua straordinaria ubiquità non smette di stupirmi. Se c'è un vero logo globale, capace di penetrare nel cuore - e negli organi periferici - di paesi e culture dove l'autostrada dell'informazione non ha ancora previsto svincoli, e in alcuni casi magari capace di promuovere un dialogo su un terreno di reciproca comprensione, questo non è la F di Facebook, la G di Google o la T di Twitter: è la M di Maria.

C'è una frase che mi sarebbe piaciuto scrivere, ma l'ha già fatto il filosofo George Santayana e posso solo ripeterla: "Dio non esiste, però Maria è sua madre".

 

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