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Ernesto Assante per “la Repubblica”
Due concerti alla O2 Arena di Londra, poi l’America. E quindi il gran finale ad Hyde Park a giugno. Così gli Who celebrano 50 anni di carriera, con un ultimo tour in cui dar fuoco alle polveri del rock. 50 anni di carriera non sono pochi per nessuno, ma per Pete Townshend e Roger Daltrey l’invecchiamento non fa parte della sceneggiatura di questa incredibile e fantastica storia, iniziata nel 1964 a Londra e arrivata fino a noi.
Per quanto possa sembrare strano, per Daltrey continuare a cantare “Spero di morire prima di diventare vecchio”, frase chiave di My Generation , ha ancora un senso. “Vecchio” lo è solo anagraficamente, essendo entrato nella “terza età”. Ma finisce lì. Energia, voglia di divertire e divertirsi, e soprattutto voglia di cantare sono ancora integre, nonostante l’età, nonostante le corde vocali non siano quelle di un giovanotto.
Ma Daltrey, tonico e solido, ce la mette ancora tutta e riesce addirittura a urlare, nei due pezzi in cui viene richiesto (Love reign on me e Wont’ get fooled again ), giocando con saggezza con le sue possibilità per il resto del set, in modo da non correre rischi eccessivi.
Anche Townshend è un vecchietto, pochi capelli in testa, ma il “windmill”, il braccio destro che rotea come una pala, è ancora parte integrante del suo stare in scena, non salta più come un tempo, ma è ancora ironico, tagliente, pronto a mandare letteralmente al diavolo i fan delle prime file, o a dileggiare il pubblico fatto di “anziani”, che però più volte ringrazia per la fedeltà, la passione e l’affetto che hanno riposto negli Who.
Accanto a loro c’è una variegata compagnia (tre tastieristi) che ha il suo centro nel fratello di Townshend, Simon, chitarrista, cantante e erede al trono, e che al posto degli assenti, ovvero gli scomparsi Entwistle e Moon, vede Pino Palladino al basso e Zak Starkey, batterista, figlio di Ringo Starr, mod nel profondo dell’anima, cresciuto tra suo padre e Keith Moon, che degnamente rimpiazza nel cuore ritmico degli Who.
who i am libro di pete townshend copertina originale
Si festeggiano i 50, quindi la scaletta è praticamente già scritta, inanellando tutti i grandi successi, i pezzi che hanno costruito la storia e il mito. C’è ovviamente I can’t explain , con la quale, da sempre, aprono i concerti, ci sono i brani degli esordi, Substitute, la dirompente My Generation, e poi alla rinfusa: I can see for miles , Pictures of Lily , ma anche qualche sorpresa come So sad about uso A quick one while is away.
C’è spazio per Tommy, per Quadrophenia, per i classici di Who’s Next. E poi Who are you, e anche qualcosa del dopo Moon, come You better you bet e Eminence Front.
who i am libro di pete townshend
Due ore e un quarto di “greatest hits” dal vivo: nessuno deve tornare a casa scontento. E nessuno delle migliaia di fan, vecchi e giovani, che hanno affollato la O2 Arena lunedì e martedì sera è stato deluso. Lo show degli Who non è un quadretto nostalgico, né Daltrey né Townshend sono in scena per dire “ricordate com’era bello prima?”. No, è bello ancora oggi, a settant’anni. E lo sarà ancora, per chi verrà dopo di loro.
THE WHO
THE WHO ALLA CERIMONIA DI CHIUSURA DELLE OLIMPIADI DI LONDRA
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