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Raffaele Simone per "la Repubblica"
Forse per farsi perdonare di aver pubblicato una delle più intelligenti critiche degli effetti cognitivi del web (Internet rende stupidi? di Nicholas Carr), l'editore Cortina presenta ora un libro di segno opposto: Perché la rete ci rende intelligenti (pp. IX-416, euro 28) di Howard Rheingold.
L'autore, guru molto noto tra gli always on (connessi in permanenza), è stato tra i primi a esplorare le ripercussioni del mondo digitale sulla mente ed è all'origine di varie elaborazioni riuscite (come il concetto di "comunità virtuale"). In questo libro punta a rendere il lettore net smart (tradotto in italiano come "intelligente a misura di rete"), cioè ad abituare la sua intelligenza a espandersi con la rete.
Rheingold si descrive così: «gestisco vari blog per conto mio, scrivo regolarmente su Twitter, organizzo comunità per l'apprendimento online (la Rheingold University), indico
Bookmarks da condividere, carico e contrassegno le mie foto e i miei video, scrivo commenti sui blog di altre persone, e condivido presentazioni video e slide».
Questa descrizione, quasi la confessione di un adepto, denota una fede con cui è difficile fare i conti. Il libro è infatti una fluviale, anche se documentatissima e talora appassionante, esaltazione delle virtù della rete, che nulla e nessuno riesce a scalfire. Infatti, sebbene Rheingold si presenti come un tipo ragionevole, la sua è una moderazione da pecorella mannara: nessuno dei guai di cui la rete è accusata (distrazione perpetua, atomizzazione del conoscere, messa in circolazione di informazioni posticce o sballate...) è riconosciuto come tale.
Di uno dei più perniciosi, l'incerta qualità delle informazioni in rete, Rheingold ritiene che si possa sterilizzare mediante l'"identificazione delle bufale", che consiste nel verificare chi è l'autore, che curriculum ha, quante persone lo citano e con quali opinioni, ecc.
Questo è un esempio del suo metodo: identificato un punto critico incontrovertibile, lo si risolve con una trovata piena di candore. Rheingold sembra credere infatti che per scovare le bufale bastino un po' di controlli alla maniera accademica, quasi ignorando che la rete pullula di ideologie marce, di pornografia e di infinite scemenze senza autore, che nessun metodo potrà mai snidare.
La convinzione che questo libro esprime non è, in realtà , che la rete renda più intelligenti ma che renda più buoni, partecipi, felici e che favorisca una quantità di istanze sociali. A Rheingold importa poco che il web possa destabilizzare l'identità (il fenomeno dei
Fakes e dei furti di identità ), crei dipendenza, esalti il narcisismo del "l'ho scritto io!" e favorisca quella immane massa di detriti cosmici noti come "commenti", per lo più perfide sciocchezze sgrammaticate. Il libro è animato da una sorta di quaccherismo digitale.
Quel che gli sta a cuore è infatti che la rete favorisca la partecipazione, l'incontro, la collaborazione e l'intesa tra le persone - e anche, quando capita, il successo. Anche qui il punto di partenza è indiscutibile: con la rete si creano e espandono reti tra persone, con gli scopi più vari (salvare un monumento, scambiare foto audaci, creare il Movimento 5 Stelle e così via all'infinito).
Ma il presupposto è buonista: gli utenti della rete sono sempre animati da buoni principi, esigenze sane e bisogni lodevoli. I dubbi al proposito sono molti, ma Rheingold non sembra preoccuparsene. Per esempio, quella della rete è "partecipazione" reale? Un bel libro di Sherry Turkle (che Rheingold cita), Alone Together (in italiano da Codice, col titolo Insieme ma soli) mostra che quella degli always on è una condizione di solitudine, a dispetto della connessione.
Qualunque cosa si possa pensare di questo libro, l'ideologia positiva che esprime è ormai vincente. In molti paesi (Italia inclusa) è radicata ad esempio l'idea che la rete risolverà i problemi dell'apprendimento. Certo, usandola qualcuno arriva a scoprire qualcosa che aveva sempre ignorato (dove si trova Taganrog, la città natale di Cechov?), e questa è una bella cosa. Ma non basta per dire che nella rete tutto (o quasi) è buono e intelligente.
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