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Maurizio Molinari per "la Stampa"
Instabilità politica e vulnerabilità del sistema bancario indeboliscono l'Italia che per tornare a crescere ha bisogno di urgenti riforme strutturali: il Fmi torna ad esprimere preoccupazione sul nostro Paese dopo una tregua di circa 20 mesi. Se durante il governo Monti e la prima fase dell'esecutivo Letta toni e contenuti dei documenti del Fmi avevano sottolineato soprattutto la fiducia nelle misure intraprese, il nuovo "Articolo IV" pubblicato a Washington torna a mettere l'accento sulle preoccupazioni.
«Se i rischi vanno verso il peggioramento - si legge nel comunicato del Fmi - è per la potenziale instabilità politica ed a causa della debolezza delle banche». Riguardo al fronte politico «le tensioni fra i partner della coalizione sono evidenti e rappresentano un rischio-chiave per la situazione economica» osserva il Fmi, sottolineando come «il governo mantiene l'appoggio del Parlamento e continua a portare avanti le riforme ma deve far fronte a limiti politici».
Da qui l'allarme: «La perdita della fiducia dei mercati potrebbe spingere l'Italia verso un equilibrio negativo e un protratto periodo di crescita lenta». Ovvero: le dispute dentro la coalizione che sostiene il governo Letta minacciano di indebolire la fiducia degli investitori è «mettere al rischio il ritorno alla crescita dal più lungo periodo di recessione dalla fine della Seconda Guerra Mondiale».
A fotografare tale scenario è la sovrapposizione fra numeri negativi e riforme necessarie. I numeri sono un pil arretrato del 2,4 nel 201 che terminerà l'anno corrente con un regresso del 1,8 e potrebbe crescere nel 2014 di appena lo 0,7 per cento anche a causa di una disoccupazione al 12 per cento - la più alta ell'Eurozona - che raggiunge il picco del 40 fra i giovani, con un deficit che quest'anno si attesterà al 3,2 per cento del pil ed un debito al 132,3, destinato al 133,1 l'anno seguente.
Le riforme sono descritte nel rapporto e ribadite da Kenneth Kang, direttore del Dipartimento Europa, nel presentarlo: «Bisogna rimediare a produttività stagnante, difficoltà di impresa, peso del settore pubblico, inefficienza del sistema giudiziario e carenza di investimenti».
L'accento sulla «necessità delle riforme strutturali» e la frase di Kang sull'Italia che «sa bene cosa deve fare» riportano le lancette alla fase pre-Monti, anche se accompagnata da un plauso per «il pacchetto sulla crescita e le misure sul Lavoro approvate durante l'estate» dal governo assieme agli «aggiustamenti di bilancio che hanno consentito di raggiungere uno dei surplus primari più elevati dell'Eurozona».
L'intento del Fmi è mettere sotto pressione la coalizione di maggioranza affinché continui a tenere alto il ritmo dei cambiamenti per «migliorare il mercato del lavoro, semplificare i contratti, decentralizzare le decisioni sui salari e ridurre il peso fiscale» e anche «trovare le risorse per fare fronte all'abolizione dell'Imu». Se il Fmi preme sull'Italia è perché desta preoccupazioni europee che nascono dal suo settore bancario.
«La prolungata recessione e le difficili condizioni del credito hanno avuto un impatto severo sulle banche» afferma il Fmi, secondo cui se la recessione continuerà venti banche - un terzo del totale - registreranno una perdita di 14 miliardi di euro sotto le soglie stabilite da Basilea III per il 2015. «In caso di shock esterno - osserva Dimitri Demekas, capo del Dipartimento monetario - potrebbero esserci rischi» per la carenza di capitali e la cattiva performance dei mutui. Da qui il plauso alle misure di stabilizzazione della Bce e la richiesta all'Ue di accelerare l'unione bancaria: per accrescere le protezioni all'Italia.
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