DAGOREPORT - NON TUTTO IL TRUMP VIENE PER NUOCERE: L’APPROCCIO MUSCOLARE DEL TYCOON IN POLITICA…
Marco Sarti per www.linkiesta.it
La lettura dei giornali del mattino lascia increduli e sorpresi. Accusato di traffico di cocaina, l’onorevole Giuseppe Mingrino è finito dietro le sbarre di Regina Coeli. Dopo una lunga indagine i militari della Guardia di Finanza lo hanno arrestato nella sua abitazione a San Lorenzo e condotto in carcere. A Montecitorio, inutile dirlo, c’è grande sgomento. Ironia della sorte, solo pochi mesi prima è stato approvato un importante disegno di legge per contenere il crescente abuso di sostanze stupefacenti.
È il gennaio 1924, quasi un secolo fa. L’articolo de La Stampa che racconta il fermo del deputato socialista merita ancora di essere letto. Il deputato siciliano è un ex ardito del popolo. Probabilmente è stato iniziato all’uso della cocaina tra le trincee della prima guerra mondiale.
Il cronista indugia sui dettagli dell’arresto:
«Verso le 15.30 di ieri un signore elegantemente vestito, dall’aspetto distinto, discendeva da un taxis pubblico innanzi ad un portone in via Vestini, dove abita l’on. Mingrino. Il signore suonò alla porta del deputato, e poco dopo era a colloquio con lui nel salotto dell’appartamento. Senza tanti preamboli, con aria confidenziale, il misterioso signore, che era un funzionario di pubblica sicurezza, chiese al deputato se gli avrebbe potuto cedere una discreta quantità di cocaina e saccarina.
“So che ella - soggiunse il signore - può con la sua autorità accontentare questa mia richiesta”. L’on Mingrino a tali parole assunse un contegno misto di preoccupazione e di finta sorpresa, ma l’altro insistette. Alla fine l’onorevole Mingrino si convinse, si alzò, uscì a ritornò con una valigetta».
pubblico alla camera dei deputati
Il deputato finisce nei guai. Con una scusa viene fatto salire su un’auto dove attende un altro militare in borghese. «Giuseppe Mingrino aveva perduto la sua tranquillità - prosegue l’articolo - insisteva per scendere dalla macchina. Con uno scatto tentò di aprire lo sportello di scendere. Con mossa fulminea uno dei due trasse di tasca la rivoltella, e la puntò in direzione del petto del deputato: indi in tono che non ammetteva replica gli disse: “Si calmi onorevole, noi siamo funzionari e abbiamo l’ordine di trarla in arresto”».
Alla fine nella valigetta del parlamentare saranno ritrovati due chili e mezzo di saccarina e 230 grammi di cocaina. Il partito socialista massimalista allontana subito il colpevole. La XXVI legislatura del Regno è appena terminata, il deputato non gode più dell’immunità parlamentare, e così per lui si aprono le porte del carcere. Anche se, scrive con malcelata indignazione il cronista dell’epoca, «continuerà a percepire, malgrado tutto, lo stipendio di deputato fino allo scioglimento della Camera».
Nei palazzi della politica la sorpresa per l’arresto del deputato è grande. Eppure non è la prima volta che la cocaina entra a Montecitorio. Anzi. Le lancette tornano indietro di qualche anno. È il 1898, il 6 marzo due deputati si danno appuntamento dalle parti di Porta Maggiore, nella villa della contessa Cellere. Si sono sfidati a duello per dirimere una vecchia questione d’onore.
Assieme ai rispettivi padrini si presentano Felice Cavallotti, volontario garibaldino e leader dell’estrema sinistra, e il giovane conte Ferruccio Macola, conservatore e direttore della Gazzetta di Venezia. Cavallotti è il favorito: nonostante l’età ha già affrontato trentadue duelli. Eppure quel giorno accade una tragedia inattesa.
Dopo pochi istanti di scontro, al terzo attacco, la sciabola dell’avversario recide la carotide del deputato milanese. Nel processo che seguirà, il medico di Montecitorio Raffaele Cervelli rivelerà un particolare inedito. «La sera prima dello scontro con Cavallotti ho ricevuto una lettera del Macola per la quale m’invitava a trovarmi all’indomani a villa Cellere e mi pregava di portare molta cocaina perché non voleva soffrire come nel duello avuto con l’on. Bissolati».
La deposizione è riportata in un articolo dell’epoca pubblicato sull’Avanti!. Un testo interessante - oggi sicuramente curioso - recentemente scovato dallo storico e giornalista Giorgio Fabre. Se n’è parlato pochi giorni fa all’ex sede della Gioventù italiana del littorio di Trastevere, durante la presentazione del libro del farmacologo Paolo Nencini: “La minaccia stupefacente. Storia politica della droga in Italia”.
Un lungo viaggio nel tempo per scoprire che l’avvento della cocaina in Italia - nonostante l’uso e l’abuso da parte di alcuni parlamentari - inizialmente è stato lento e poco apprezzato. Alla fine dell’Ottocento, quando la sostanza inizia a invadere i paesi occidentali, da noi il vizio è ancora relegato a pochi sperimentatori. In Italia chi cerca stordimento e alienazione si rifugia nel vino. La cocaina resta un oggetto misterioso, guardato con sospetto e molta ingenuità. Un esempio si trova ancora una volta nei quotidiani dell’epoca. Avanti!, edizione del 16 febbraio 1901.
Tra le vignette umoristiche e le recensioni teatrali spunta una piccola rubrica di servizio. “Il consiglio pratico per le famiglie”. A chi accusa problemi di mal di stomaco, il giornale suggerisce un rimedio che oggi solleverebbe più di un dubbio. «A coloro che soffrono di gastralgia il dottore consiglia la seguente pozione: acqua di calce, grammi 100; cloridrato di cocaina, grammi 0,03; cloridrato di morfina, grammi 0,01. Di questa pozione se ne deve prendere un cucchiaio in latte ghiacciato ogni ora». Addio al mal di pancia assicurato, al netto dei probabili effetti collaterali.
Lo scoppio della prima guerra mondiale si accompagna a una prima, vera, diffusione della cocaina. Come già avvenuto nei conflitti precedenti, la polvere bianca viene usata per le sue qualità antinevralgiche. Ma non solo. «Fu subito noto - scrive Fabre in una bella recensione della “Minaccia stupefacente” sul Manifesto - che gli arditi e gli aviatori in combattimento assumevano droghe».
Non è un mistero che durante l’impresa di Fiume D’Annunzio e i suoi legionari facessero largo uso di questa sostanza. Non di rado la “polvere folle” girava tra i membri delle squadre d’azione fasciste. Eppure all’epoca l’uso della cocaina resta controverso. Un altro annuncio a pagamento, scoperto da Fabre, pubblicizza le doti miracolose di questa droga.
È il 12 agosto 1916 e sull’Avanti! ecco la réclame dell’elisir Robur, raccomandato dal dottor Francesco Zanardi in caso di anemia. Lo sciroppo si presenta come un ottimo ricostituente a base di ferro, manganese, calcio, ma anche cocaina e arsenico. «Gradevolissimo al palato, ben tollerato sia dagli adulti che dai bambini. Bastano pochi flaconi per averne ottimi risultati».
Tonico rinvigorente o veleno? Nel Paese il consumo voluttuario di cocaina inizia ad essere guardato con sospetto. Fino ad allora l’uso era rimasto molto circoscritto. Medici e specialisti avevano a che fare con pochi casi di dipendenza. C’è chi ha preso il vizio di sniffare a Parigi, qualche attrice dei café-chantant ne è rimasta vittima. Ma il tema non è più un tabù. Nel maggio 1918 Antonio Gramsci dedica un articolo all’argomento. Si intitola “Cocaina” e racconta la riapertura di un locale torinese frequentato da abituali consumatori della sostanza.
Gramsci punta l’indice contro gli “amatori dell’ebbrezza con gli alcaloidi”. Riconoscendo con sarcasmo: «L’uso della cocaina è indice di progresso borghese: il capitalismo si evolve. Costituisce categorie di persone completamente irresponsabili, senza preoccupazioni per il domani, senza fastidi e scrupoli». Alla fine la politica deve occuparsi della questione. La prima legge in materia di droghe risale proprio a quegli anni: la n. 396 del 1923. “Provvedimenti per la repressione dell’abusivo commercio di sostanze velenose aventi azione stupefacente”.
Vengono introdotte multe e pene detentive anche per i consumatori. Codice rivisto pochi anni dopo nelle “nuove norme sugli stupefacenti” approvate nel 1934. Fa sorridere scoprire che già nei primi anni Venti il Parlamento si divideva tra proibizionisti e antiproibizionisti. Tra chi voleva ammorbidire le pene e chi chiedeva interventi più incisivi. Tra questi ultimi spicca la posizione di Ettore Marchiafava, già professore di anatomia patologica a La Sapienza, medico personale di casa Savoia e di tre pontefici. Una lunga cronaca parlamentare de La Stampa racconta il suo accorato intervento a Palazzo Madama. È il 5 agosto 1921.
«L’urgenza della legge - le parole del senatore - è dimostrata dal fatto che, se la cocaina giunse ultime tra queste sostanze malefiche, è riuscita ad avvincere al suo giogo molti infelici, superando la morfina, l’etere e tutte le altre sostanze stupefacenti, la cui azione è quella di far decadere fisicamente e intellettualmente la nostra razza».
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