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Enrico Marro per “Il Corriere della Sera”
Per Romano Prodi è stato un po’ come tornare a casa, 18 anni dopo l’ultima volta. Lui che, prima da entrare in politica, spesso interveniva al Centro studi della Cisl, in una splendida tenuta sulla collina di Fiesole dove si sono formati i più grandi leader di questo sindacato, da Pierre Carniti a Franco Marini. I quadri e dirigenti cislini lo accolgono con calore, nell’aula magna dove Prodi partecipa al seminario su «Gli Stati Uniti d’Europa».
Chi meglio dell’ex presidente della commissione europea (1999-2004) può spiegare agli amici della Cisl che cosa sta succedendo a questa Europa, smarrita tra la crisi greca e le pulsioni xenofobe? E Prodi non delude, intrecciando ricordi e attualità e non rinunciando a togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Fin dalla premessa: «Il processo di rottamazione ha avuto una splendida logica e dunque eccomi qui a parlarvi fuori da ogni vincolo politico e da ogni incarico passato, presente e futuro», dice con un ampio sorriso.
sergio mattarella e romano prodi
Parole non casuali, a poche settimane dall’elezione del presidente della Repubblica dalla quale Prodi è rimasto tagliato fuori dopo la scelta del premier Matteo Renzi di puntare su Sergio Mattarella.
E per restare all’attualità, ecco che il professore, parte con una critica alla riforma delle banche popolari decisa dal governo Renzi (quelle grandi dovranno trasformarsi in spa). «Sono un esperimento interessante, unico, che ora si vuole chiudere in un attimo» mentre in Germania «vengono preservate le Landensbank, che sono molto più politicizzate e stanno molto peggio delle nostre popolari». La cancelliera Angela Merkel le difende mentre «da noi sono considerate una deviazione dalle regole del sistema», osserva Prodi. Che però ricorda come di una riforma delle popolari si discute in Italia da 25 anni e che se per tanto tempo non si fa nulla, poi «arriva la valanga che vuol distruggere tutto».
Un rischio, secondo il professore, che riguarda anche il sindacato e più in generale tutti i corpi intermedi, che «non devono irrigidirsi», ma autoriformarsi.
Il discorso scivola inevitabilmente sull’Europa, tra passato e futuro. Prodi rivendica il merito di aver portato l’Italia nell’euro è ricorda «il momento drammatico» in cui alcuni Paesi opponevano. Per esempio l’allora ministro delle finanze olandese, «il cattivissimo Gerrit Zalm, che trattava l’Italia peggio di come hanno fatto alla fontana del Bernini a piazza di Spagna», i teppisti del Feyenoord.
Ricorda anche di quando, da presidente della commissione europea, davanti al sospetto che i conti della Grecia fossero truccati, propose di creare un’autorità sovranazionale sui bilanci «ma fui fermato dal no del cancelliere tedesco Schröder e del presidente francese Chirac che non volevano rinunciare alle competenze nazionali», per concludere che «o cediamo sovranità alle istituzioni europee o si arriverà a una rottura definitiva. Non possiamo stare in mezzo al guado. Ci vuole un’Europa federale».
Quella attuale, invece, conclude Prodi, è dominata dalla Germania, «dopo il crollo di potere della Francia». Con una differenza rispetto al passato. «Quando ero presidente, avevo un rapporto felice col cancelliere Kohl, che almeno mi lasciava la penna e il foglio per fare i compiti a casa. Adesso, invece, la Merkel non ti lascia nemmeno carta e penna. Sono l’economista più filotedesco mai apparso in Italia, ma questa politica rovina l’Europa. O c’è un cambiamento radicale o tra qualche anno avremo una nuova Grecia».
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