COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…
Estratto dell’articolo di Marco Damilano per “la Repubblica”
(…) Era l' 8 dicembre 2013, cinque anni fa. A mezzanotte, quando appena concluso il suo primo discorso da segretario del Pd nella sala del teatro Obihall di Firenze, squillò il telefono. «Le posso passare Berlusconi?». Dall' altra parte la voce di Silvio, in pizzeria con Francesca Pascale e il cane Dudù: «Caro Matteo, complimenti! Ho sempre detto che avevi i numeri, da quel pranzo ad Arcore, anche se devi ammettere che giocare contro Cuperlo e Civati era come il Milan con l' Interregionale... Con la tua vittoria finalmente il Pd diventa un partito socialdemocratico».
Matteo Renzi era stato appena trionfalmente eletto capo del Pd, un anno dopo la sconfitta alle primarie per la candidatura a premier contro Pier Luigi Bersani, da pochi minuti aveva finito di parlare. «Mi avete dato la fascia di questa squadra e vi assicuro che combatterò su ogni pallone», aveva promesso ai militanti. «Forse useremo metodi un po' spicci, ma non confondete un cambio di governo con l' ambizione di cambiare il Paese. Abbiamo preso i voti per scardinare il sistema, non per sostituirlo». Cambiò, invece, il governo, Enrico Letta fu cacciato da Palazzo Chigi, 68 giorni dopo. Il Pd, invece, non cambiò mai.
Cinque anni dopo, ieri il capitano, titolo nel frattempo passato ad un altro Matteo, Renzi ha dato il benservito alla squadra. Non vincono più, lui non vuole affondare con loro. (…) Da squadra a Ditta: lo chiama così, come ai tempi di Bersani, il partito di cui Renzi però è stato per quattro anni padrone assoluto. (…)
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È la storia di un amore mai nato: il rapporto tra un partito che divora i suoi capi e il capo che riduce a macerie il partito. (…) L' elezione di Renzi sembrò il capovolgimento di una storia, di una tradizione. Non più il mito gramsciano del partito moderno-Principe, l' organismo collettivo che oltrepassava le storie, le volontà, le aspirazioni individuali, la cultura di riferimento degli ex comunisti, avversari interni di Renzi, ma il ritorno del principe, con la sua corte gigliata, con la sua ambizione personale e con un partito al servizio. (…)
Ma l' incontro è durato la notte del quaranta per cento alle elezioni europee del 2014. Per Renzi il Pd è sempre rimasto quella roba là, la Ditta. E per il Pd Renzi è rimasto un corpo estraneo, anche quando tutti si precipitavano a omaggiarlo.
(…) Come in un maleficio, Renzi ha contratto i vizi del Pd e ora si prepara a trasformarsi nel leader di un partito da legge elettorale proporzionale, quel sistema che per definizione non ammette capi ma solo tavoli di trattative dove i voti come le azioni si pesano e non si contano.
abbraccio tra maria elena boschi e matteo renzi
Mentre il Pd dopo la cura assomiglia al suo ex capo, è una tribù nevrotica, con le sue percentuali di voto che non sono all' altezza dell' arroganza di molti suoi dirigenti. Il partito che doveva diventare uno strumento al servizio del Paese, è diventato uno strumento per conto dell' Io. In mezzo un popolo sempre più smarrito. Senza capitano, senza squadra. È rimasta l' antipatia.
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