
DAGOREPORT - COSA FRULLAVA NELLA TESTA TIRATA A LUCIDO DI ANDREA ORCEL QUANDO STAMATTINA…
Alessandro Barbera per “la Stampa”
Capita che l’euforia tiri brutti scherzi. Capita che in Grecia vinca le elezioni un partito di sinistra radicale ma non troppo, e che il capogruppo italiano dei socialisti europei a Strasburgo esulti per il risultato. «La Grecia ha detto basta all’austerità e ai diktat della Troika», dice Gianni Pittella. «Grande vittoria di Tsipras», twitta il renzianissimo senatore Pd Andrea Marcucci.
È vero, la vittoria di Syriza apre per Matteo Renzi una ulteriore finestra di opportunità, ovvero quella di ottenere più flessibilità di quanta finora l’Italia non abbia ottenuto. Non solo: poiché gli investitori scommettono che la moneta unica uscirà dalle elezioni greche più debole di prima, il cambio scenderà ancora, per la gioia di chi esporta. Ieri un dollaro costava appena 1,11 euro: la parità fra le due grandi monete è ormai vicina. Ma come si spiega allora il fatto che lo stesso Renzi si sia affrettato a smentire una telefonata di congratulazioni al leader di Syriza? La risposta è in un numero, un grande numero: 40 miliardi.
PITTELLA TOCCA LA PANCIA DI RENZI
Quaranta miliardi di euro è il valore dei prestiti bilaterali concessi in vario modo dall’Italia alla Grecia. Siamo i terzi creditori di Atene dopo la Germania (60 miliardi) e la Francia (46), ci seguono la Spagna (26) e l’Olanda (altri 12 miliardi). Spesso dimentichiamo che pasti gratis non ne esistono per nessuno.
Se la Grecia è ancora nella zona euro, lo deve all’enorme mole di prestiti che la comunità internazionale gli ha garantito. Sono in tutto 322 miliardi, secondo i dati del ministero delle Finanze greco aggiornati a settembre dell’anno scorso. Di questi, solo il 17 per cento sono in mano alle banche. Il 62 per cento dei prestiti li hanno messi a disposizione i contribuenti di ciascun Paese dell’area euro con le loro tasse.
fondo monetario internazionale
Il Fondo monetario internazionale ha appena il 10 per cento, la Banca centrale europea l’8. Per inciso: poiché le quote della Bce appartengono agli Stati aderenti alla moneta unica, anche questi sono soldi dei contribuenti europei. In sintesi: tra prestiti bilaterali concessi in occasione del primo salvataggio (era il 2010) e fondi elargiti attraverso il cosiddetto fondo salva-Stati Esm, l’Europa e noi tutti siamo creditori nei confronti della Grecia per 195 miliardi di euro.
Ora la domanda è: che accadrà a questi prestiti? Tsipras ha detto chiaramente di volere una ristrutturazione del debito di Atene, questo significa che, se la sua richiesta venisse accolta, l’Italia dovrebbe rinunciare a parte di quei crediti. Il paradosso vuole che questo sia lo scenario più roseo, il minor male che noi tutti dobbiamo augurarci, perché dietro l’angolo ci può essere di molto peggio.
Il primo - diciamo lo scenario di gravità media - è che Tsipras ingaggi una dura trattativa con l’Unione europea e la Bce. Finora la Grecia ha avuto i fondi grazie ad un accordo con la Troika (composta da Fondo monetario, Commissione europea e Bce) e al rispetto (più o meno) di un severo programma di riforme e di tagli alla spesa pubblica.
Ma cosa accadrebbe se Tsipras decidesse di buttare alle ortiche quell’accordo? La conseguenza più probabile sarebbe l’esplodere degli spread sui titoli sovrani, a partire da quelli dei Paesi più indebitati come l’Italia e il conseguente aumento della spesa per interessi. C’è uno scenario persino peggiore, ed è quello dell’uscita della Grecia dalla moneta unica. In questo caso le conseguenze sarebbero imprevedibili. Molti dicono che la situazione è diversa dal 2011, e che i rischi di contagio sono minori. Ma quali siano davvero le fattezze di quello spettro, nessuno lo sa.
Twitter @alexbarbera
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