1. DOVE VANNO LETTA E NAPO? MANCANO 19 VOTI PER UNA NUOVA MAGGIORANZA IN SENATO 2. ANCHE SE SI TROVANO I ‘’NUMERI” FACENDO SCOUTING TRA I GRILLINI E I PIDIELLINI, IL RENZIANO PAOLO GENTILONI AVVISA: “LA LEGISLATURA NON VA AVANTI CON 5 VOTI DI SCARTO” 3. ‘’UNA RESPIRAZIONE BOCCA A BOCCA ALLA LEGISLATURA, PER PROLUNGARLA ARTIFICIALMENTE, AGGIUNGEREBBE DANNI AL DISASTRO FATTO DA BERLUSCONI. NON VERREBBE NEANCHE CAPITA ALL’ESTERO E DAI MERCATI. L’ACCANIMENTO TERAPEUTICO SULLA LEGISLATURA NON PRODURREBBE EFFETTI BENEFICI SULL’ECONOMIA E SULL’ITALIA’’

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1. MANCANO 19 VOTI PER UNA NUOVA MAGGIORANZA
Francesca Schianchi per "La Stampa"

Il numero necessario, anzi indispensabile, è 161. La metà più uno dei senatori. La quota fatidica che il governo Letta dovrebbe assicurarsi a Palazzo Madama per proseguire la sua esperienza. E se la maggioranza vista finora garantì all'esecutivo nella sua prima fiducia del 30 aprile scorso 223 voti favorevoli, se si sfila il Pdl, quali possono essere i numeri?

108 sono gli eletti nelle file del Pd (da cui però occorre togliere il presidente Grasso, che per prassi non vota), e 20 quelli della montiana Scelta civica. Considerando probabilmente a favore anche i voti del gruppo per le autonomie e dei senatori a vita, fanno quindici voti in più. Totale 142, cioè 19 voti meno della soglia di maggioranza.

«Secondo me i numeri ci sono, non c'è problema», si sbilancia però un pidiellino in sofferenza. L'accelerazione impressa alla crisi ha portato allo scoperto malumori e dissensi dentro al Pdl, come dimostrano le prese di distanza dei ministri Quagliariello e Lorenzin e persino le parole del vicepremier Alfano. E che da settimane politici di prima fila come Pier Ferdinando Casini e il ministro Mario Mauro si impegnino per cercare di dare vita a un'alternativa moderata ed europea al Pdl, tentando di assicurare alla causa anche i berlusconiani messi in difficoltà dalla linea dei falchi, è confermato da molti. «C'è la libertà di coscienza che può restituire all'Italia un governo possibile ed un Paese plausibile», è l'invito fatto ieri da Mauro.

Il senatore berlusconiano Carlo Giovanardi, uno dei pochi che, non condividendo la strategia, non ha firmato le dimissioni da parlamentare, e oggi ha sottoscritto le parole di Quagliariello, la mette così: «Mi pare che oggi sia emersa una sintonia di pensiero politico fra vari esponenti del Pdl: bisognerà che ci si parli per decidere insieme cosa fare e assumere una linea comune, nei confronti del partito come del governo».

Ancora, il sottosegretario Giuseppe Castiglione, un altro che non ha firmato le dimissioni da parlamentare, che è deputato ma conta su un paio di senatori a lui molto vicini, insiste che «nel Pdl sono prevalse posizioni estremiste, ora è un errore far cadere il governo e per la sua prosecuzione vedo un fronte molto ampio».

Quanti tormenti si trasformeranno in voti alla fiducia? «Siamo in tanti a interrogarci davanti alla nostra coscienza su cosa sia meglio fare», dice Paolo Naccarato, senatore iscritto al gruppo Gal, Grandi autonomie e libertà. Cosa farà davanti a una fiducia? «Sentirò con attenzione il presidente Letta, e con un supplemento di attenzione le dichiarazioni in Aula del Pdl, perché spero e credo che non faccia mancare il suo sostegno al governo. Poi deciderò, ma io sono per cultura un uomo legato alle istituzioni e alla continuazione del governo».

Altrove, in altri gruppi, potrebbero aprirsi altre possibilità, a condizione però che si parli di un nuovo governo con una maggioranza alternativa. Sel oggi è all'opposizione, ma ieri la senatrice Alessia Petraglia ha fatto sapere che, se il Pd «rompe col passato», i sette eletti del partito di Vendola sono disponibili a sostenere un nuovo esecutivo «poi al voto con una nuova legge elettorale».

E anche nel M5S, nonostante la posizione di Grillo per il voto immediato, c'è chi potrebbe fare un pensiero a un nuovo esecutivo per condurre in porto la legge di stabilità e quella elettorale. Quanti potrebbero convincersi, difficile dirlo: un numero da cui partire è 14, come le schede bianche o nulle nel corso del ballottaggio sul nuovo capogruppo. Presto la verifica in Aula. Dove i numeri parleranno chiaro.

2. GENTILONI: "LA LEGISLATURA NON VA AVANTI CON 5 VOTI DI SCARTO"
Car. Ber. Per "La Stampa"

Gentiloni, si rischia di votare entro Natale?
«Naturalmente la regia di quanto succederà nei prossimi mesi è nelle mani del Capo dello Stato. Il che è una garanzia di equilibrio e di saggezza. Tutti sappiamo che, comunque vada il chiarimento e il voto della prossima settimana, ci sono alcuni impegni inderogabili: la legge di stabilità e la cancellazione del porcellum. Difficile rendere compatibile tutto questo con un voto immediato».

Il Pd è compatto sulla linea del no ai governicchi e ai trasformismi?
«Io credo di sì, certamente Epifani dice cose condivisibili. Una respirazione bocca a bocca alla legislatura, per prolungarla artificialmente, aggiungerebbe danni al disastro fatto da Berlusconi. Non verrebbe neanche capita all'estero e dai mercati. L'accanimento terapeutico sulla legislatura non produrrebbe effetti benefici sull'economia e sull'Italia».

Non vi appassiona dunque la nascita di una fronda del Pdl?
«Ci interessa molto, anche se è difficile che un partito nato come padronale non lo sia fino all'epilogo. E comunque, per produrre effetti politici, il malessere dovrebbe assumere dimensioni tali da non configurare governi appesi ad un filo».

Ma cosa succederebbe se Letta andasse alle Camere e la fiducia passasse di misura per pochi voti, senza alcuna garanzia di tenuta?
«Lo valuteremo: la fiducia è un voto palese e un'ipotesi del genere comporterebbe che settori molto consistenti o del Pdl e o dei 5 Stelle facessero delle scelte precise. Vedremo se ci sarà uno smottamento vero, ma la legislatura non va avanti con cinque voti di margine».

Temete forse di affrontare poi una campagna elettorale pagando voi soli il prezzo di misure impopolari?
«Non per la campagna elettorale, ma per il bene del Paese, di fronte ad una situazione in cui il leader del centrodestra si è aggrappato all'Italia per farla affondare con sé, bisogna prendere atto che è finita sia la vicenda di Berlusconi, sia l'intesa con la destra.

E il modo in cui in tutte le democrazie si sancisce l'esaurimento di un ciclo politico è il voto. Quindi non è una questione di interessi di partito, ma visto che Berlusconi vuole trascinare il Paese con sé, l'Italia metta la parola fine a questa vicenda con un voto».

E se le cose precipitassero, il congresso verrebbe congelato o rinviato?
«È chiaro che se si votasse l'8 dicembre, non faremo gazebo lo stesso giorno per eleggere il leader Pd. Ma nello scenario di una conclusione ordinata della legislatura, in cui i due adempimenti dell'abolizione del porcellum e della legge di stabilità venissero portati avanti nelle prossime settimane, è immaginabile pensare che si vada a votare ai primi di marzo.

Se l'orizzonte di voto fosse quello di novembre-dicembre, è ovvio che trasformeremo il nostro congresso, scegliendo con le primarie subito il nostro candidato premier. Ma nei tempi ad oggi ipotizzabili, faremo il congresso, anche per rafforzare la leadership Pd con un'investitura popolare come quella che può venire dal voto nei gazebo».

Insomma, Renzi forse sarà costretto a cambiare i suoi programmi e potrebbe vedersela con Letta alle primarie?
«Non so cosa abbia in mente di fare Enrico e ovviamente è nel suo diritto aspirare a sfidare Renzi. Credo non abbia avuto neanche il tempo di pensare a questa eventualità. Quel che conta è che il Pd si prepari a offrire al paese un'alternativa che chiuda il ciclo berlusconiano e dia una vera stabilità, che può venire solo da una vera svolta politica. Di certo Renzi si prepara ad entrambe le sfide avendo tutte le carte in regola».

 

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