
DAGOREPORT – GETTATA DALLO SCIROCCATO TRUMP NEL CESTINO DELL'IRRILEVANZA, MELONI ARRANCA IMPOTENTE,…
1. LETTERA AL "FOGLIO"
Al direttore - Ma lei non c'è nel libro nero di Bisignani?
Vincenzo Mastrangelo
Risposta di Giuliano Ferrara
E me ne dispiace. Intanto perché non è un libro nero, è un racconto ricco di humour e uso di mondo, anche fresco e impasticciato, una specie di fiction felliniana con elementi di documentazione non troppo seriosi ma spesso accurati sulla Roma di sempre, indice di una memoria prodigiosa, di un gusto mondano del dettaglio e di un distacco che fanno onore a un molestato da media e giudici come lui (salvo una eccezione di ultradettaglio, di cui dopo dirò).
Grillo emerge per quel che è: la versione rozza e cazzona dell'eterno rapporto spionistico degli italiani molto medi con l'intelligence e la diplomazia americana, alla Di Pietro (so di che cosa parlo). Nessuno deve sentirsi offeso, nemmeno Geronzi o De Bortoli, sfruculiati con l'affetto rancoroso dell'ex: qualcuno si sentirà "pittato", come si dice a Napoli, e non è poi una tragedia nella vena socievole e affabilmente spiritosa di questo superconsulente politico di grandissima qualità e quantità , tra Italia Argentina e Vaticano.
Bisi, radici sudamericane che si vedono, è un altro che abbiamo preso con fortuna dalla fine del mondo. Due notazioni personali. Statera di Repubblica da anni mi rimprovera con petulanza sospetta di aver presentato, ciò che feci con piacere su richiesta del mio amico Jannuzzi, un romanzo di Bisi all'Eliseo, con Andreotti (anni Ottanta).
Ora Bisi si ricorda di lui, giustiziere con i fiocchi, perché chiese e ottenne un appuntamento, diciamo di lavoro, con Umberto Ortolani (editore Rizzoli del tempo, P2). E lui, stroncando il libro, neanche lo ricorda su Repubblica. Bisi poi ricorda che il Cav. negò a Cisnetto la direzione di Panorama perché aveva la pancetta. Voleva solo magri e ben rasati, dice. Al posto di Cisnetto, circostanza pudicamente omessa, fui nominato io. Pancetta? Barba?
1 - OPERE E OMISSIONI, I GIORNALONI NON LEGGONO IL LIBRO DI BISIGNANI
Fabrizio D'Esposito per Il Fatto
Molto probabilmente, Ferruccio de Bortoli continuerà a fare il direttore del Corriere della Sera. Anche dopo l'uscita dell'atteso libro di Luigi Bisignani, faccendiere dalla doppia condanna definitiva: Enimont, ai tempi di Tangentopoli, e scandalo P4, per cui sta scontando l'affidamento ai servizi sociali, non il carcere (un anno e sette mesi per associazione per delinquere, concussione e ricettazione).
Nel volume edito da Chiare-lettere, il pregiudicato Bisignani, intervistato da Paolo Madron, si sofferma lungamente sul suo rapporto con il direttore del Corsera, nato quando de Bortoli ritornò in via Solferino (aprile 2009) sull'onda di un berlusconismo soft alla Rcs garantito dalla "ditta" formata da Geronzi, Letta, Scaroni e Bisignani, che aveva chiesto e ottenuto la testa di Paolo Mieli. E così, dopo le anticipazioni di ieri, qualcuno (Dagospia, per esempio) ipotizzava che a de Bortoli, in vista della delicata assemblea Rcs di oggi, potessero essere fatali le imbarazzanti rivelazioni di questo "cuoco" del potere prima alle dipendenze del clan andreottiano, durante il regime democristiano, poi a quelle di Gianni Letta, il gran visir del Cavaliere. Invece non sarà così, giurano ai piani alti di via Solferino.
Il segnale più forte a favore di de Bortoli arriva dalla lettura della rassegna stampa sul libro. Il rimbombo mediatico non è stato granché sui quotidiani dei poteri forti. In particolare sulla Stampa di Torino, il quotidiano della Fiat diretto da Mario Calabresi, il più accreditato all'eventuale successione di de Bortoli. La Stampa, contrariamente a quello che pronosticavano i più maliziosi, non ha dato ampio risalto alle anticipazioni del libro. Anzi, uno striminzito colonnino a pagina 11 . Tutto qui. Paradossalmente, c'è più spazio per L'uomo che sussurra ai potenti sul Corsera dello stesso de Bortoli, anche se l'ampio articolo è relegato nel basso di pagina 26, con una recensione "oggettiva" che dà conto dell'amicizia tra "Ferruccio" e "Luigi".
Tra i conti regolati dal faccendiere c'è poi anche una doppia e velenosa citazione che riguarda Repubblica: Eugenio Scalfari e Alberto Statera, una delle firme di punte. Il primo avrebbe chiamato Bisignani, all'epoca portavoce di un ministro democristiano, per avere scoop da "ripagare" con bottiglie di champagne. Il secondo per essere raccomandato su un progetto editoriale. A rispondere è lo stesso Statera che liquida le rivelazioni come "piccola spazzatura" e precisa: "Posso garantire che il mio direttore Scalfari (all'Espresso, ndr) parlava direttamente col ministro".
I quotidiani della destra, Libero (editori gli Angelucci) e Giornale di Sallusti dedicano al libro l'apertura della prima pagina, ma entrambi dimenticano le rivelazioni di Bisignani sulla mancata fusione tra i due houseorgan berlusconiani, su cui lavorò Daniela Santanché, oggi compagna di Sallusti ma in precedenza intima dello stesso faccendiere. Racconta Bisignani a Madron: "Una possibile fusione tra Libero e il Giornale avrebbe dato vita a un unico importante quotidiano del centrodestra, con Ostellino e Sergio Romano strappati al Corriere. Berlusconi ne fece cenno anche ad Antonio e Giampaolo Angelucci, in qualità di proprietari della testata Libero, durante una colazione a Palazzo Grazioli alla quale ho partecipato. Progetti, business plan, ipotesi di contratti pubblicitari non si realizzarono mai perché le contingenze politiche non ammettevano la forte riduzione di personale che sarebbe risultata da quel matrimonio".
La sensazione è che la bufera promessa dalla sue rivelazioni non ci sia stata. Colpa delle amnesie del faccendiere (Scaroni citato solo una volta, Montezemolo mai, e poi tutti i buchi sulla golden age berlusconiana) e della sua sorprendente auto-celebrazione. Il Moretti di Habemus papam lo chiamerebbe "deficit di accudimento primario". Caduto in disgrazia, oggi Bisignani si fa le coccole da solo, perché nessuno più lo accarezza come una volta.
3. BISIGNANI, DA BURATTINAIO A CIALTRONE
Vittorio Feltri per Il Giornale
L'ho già scritto su que¬sto giornale, ma ribadi¬sco: mai conosciuto di persona Luigi Bisignani, e un po' me ne dispiace perché deve essere un tipo interessante. Gli parlai una sola volta, al telefo¬no, quando lavoravo a Libero . Conversazione brillante, nono-stante l'argomento: gli intesti¬ni; il suo e il mio, afflitti da un di¬sturbo, diverticolosi. Lui mi suggerì un farmaco risolutivo: Normix, miracoloso. Facendo gli scongiuri, sono guarito.
Esaurita la premessa viscera¬le, utile a precisare che Bisigna¬ni non è mio amico e quindi mi è consentito difenderlo, am¬messo che egli abbia bisogno di un «avvocato» come me, vengo al sodo. I lettori sapran¬no: il signore in questione ha rilasciato una lunga intervista a Paolo Madron che ne ha ricavato un libro pubblicato da Chiarelettere. Mentre stendo il pre¬sente articolo, il volume non è ancora in vendita, lo sarà da oggi.
Tuttavia le anticipazioni divulgate dai quotidia¬ni, incluso il nostro, hanno incendiato il Palazzo. Bisignani racconta cosucce pepate riguardanti uomini politici e di potere e costoro, indignati, si affrettano a smenti¬re, ma con scarsa convinzione. Non pre¬tendo di entrare nel merito di vicende di cui so poco o nulla. Rilevo soltanto una contraddizione stridente.
Nei giorni (re¬lativamente lontani) in cui Luigi,defini¬to impropriamente faccendiere con l'in¬tento di sminuirlo, era sotto inchiesta della magistratura, i giornali gli dedica¬rono pagine e pagine, titoli e titoli, spie¬gando quanto questo personaggio fos¬se influente nel complicato mondo ro¬mano, dove la politica si intreccia con gli affari dando vita a battaglie sotterra¬nee per la conquista di poltrone e pol¬troncine.
Stando alla vulgata, Bisignani era un'eminenza grigia che promuoveva e stroncava carriere più o meno lumino¬se, tirava i fili di mille burattini che gli affi¬davano i loro destini, lo supplicavano di aiutarli, sovente in ginocchio, talvolta sdraiati (o sdraiate), gli chiedevano fa¬vori vari consapevoli che la sua parola era decisiva.
Un deus ex machina in gra¬do di arrivare lassù e di dettare la linea da seguire indicando i nomi più adatti al raggiungimento dello«scopo»:il con¬solidamento del potere. Nessuno dubi¬tava delle capacità del «faccendiere» di ottenere eccellenti risultati, tanto è vero che centinaia di persone ambivano alla sua protezione, affollavano la sua anti¬camera, brigavano per avere un appun¬tamento con lui.
Poi, è noto, egli è finito in disgrazia, nel senso che la magistratura gli ha mes¬so la mordacchia e allora la sua corte (dei miracolati) si è squagliata. Vabbè, succede: la gratitudine è il sentimento della vigilia, mentre la vigliaccheria è l'inossidabile denominatore comune dell'umanità . Ma c'è un limite anche al¬la codardia. Nella presente circostanza è stato superato ampiamente.
Prima an¬cora che le sue memorie fossero giunte in libreria, un sacco di gente- compresa quella beneficata dall'abile manovrato¬re - ha preso le distanze dal proprio be¬nefattore. Leggere, per credere, gli arti¬coli e i commenti che sono usciti ieri sui maggiori organi di stampa. Che dipin¬gono Luigi quale figura di secondo pia¬no, un intruso, una comparsa insignifi¬cante in vena di tardive vendettine.
La Repubblica , che pure si giovò delle sue confidenze, liquida la maxi intervi¬sta così: veleni e piccola spazzatura. Co¬me se esistesse una spazzatura di alto li¬gnaggio. Viene da sorridere. L'autorevo¬le burattinaio che intratteneva rapporti coi vertici, condizionandone le scelte, all'improvviso, solo perché considera¬to fuori dalla stanza dei bottoni, è stato declassato a portinaio del Palazzo. Un'operazione squallida.
Addirittura chi ha riservato spazio alle confessioni di Bisignani, per esempio Il Giornale , è stato accusato di aver sovra¬dimensionato la portata del libro. I no¬stri censori scordano che, all'epoca del¬le indagini sull'autore di quello che sarà un best seller, tutti i media cavalcarono la notizia e ne divulgarono i particolari senza risparmiare carta e inchiostro. Se¬condo i medesimi, oggi, dato che Bisi¬gnani vuota il sacco (non del tutto, pen¬so), dovremmo sfumare, fingere che non sia accaduto nulla, non prenderlo sul serio, condannarlo in dieci righe invi¬sibili.
L'uomo che sussurra ai potenti ( ti¬tolo del libro) va censurato: stia zitto, non abbia l'ardire di fiatare sui peccati al¬trui. Gli è concesso soltanto di riferire i propri. Altrimenti, all'inferno! Buffoni.
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