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Ugo Magri per la Stampa
Berlusconi in questi giorni è nervoso. L' umor nero del Cav viene confermato dai suoi frequentatori abituali. Ma è fuori strada chi immagina che ce l' abbia con Salvini, con Toti, con Parisi, con tutti quanti lo stanno tirando per la giacca sulle alleanze future. No: Silvio è imbufalito con la Corte europea di Strasburgo, che non ha nemmeno iniziato a esaminare il ricorso presentato tre anni fa contro la sua condanna.
E ce l' ha a morte con la Banca centrale europea, che gli ha negato il diritto di detenere azioni di Banca Mediolanum, sempre per via della famosa condanna (perdita dei «requisiti reputazionali»). Non si contano i suoi sfoghi contro l' ingratitudine di questo e di quello, soprattutto nel grande giro delle istituzioni finanziarie.
Nella «hit parade» dell' ira berlusconiana, la politica viene parecchio dopo. Affermare che Silvio se ne infischi di Salvini sarebbe esagerato; però l' uomo ha una scorza durissima, e se ha deciso di non decidere certe battute gli fanno solo il solletico. Prima di fare la sua mossa, Berlusconi vuole capire che cosa succede. A
nzitutto non è ancora intimamente certo che vincerà il NO. Per lui sarebbe una botta di fortuna pazzesca che lo ricollocherebbe al centro della scena, ma in tre settimane ancora tutto può succedere, perfino che Renzi ce la faccia. E comunque, una volta conquistato il diritto di sedersi al tavolo dei vincitori, Berlusconi vuole vedere (come la metterebbero a Roma) se c' è «trippa per gatti». Come si comporterà Renzi. Che cosa ne potrà ricavare.
L' appetito del Cav non conosce limiti. Per esempio, dicono che vedrebbe bene se stesso nei panni del mediatore tra Russia e Stati Uniti, ora che alla Casa Bianca c' è di nuovo un presidente disposto a dialogare con il suo amico Putin. Ma per quanto riguarda le vicende italiane pare voglia accontentarsi di molto meno. A quanto emerge dall' intervista di sabato al «Corsera», gli basterebbe tutelarsi sulla nuova legge elettorale, quella che una vittoria del NO renderebbe inevitabile.
In cambio, è pronto a lasciare che il Presidente della Repubblica decida il da farsi, senza menare scandalo nemmeno nel caso in cui Mattarella tenesse Renzi, sconfitto, alla guida del governo. Un atteggiamento di responsabilità e prudenza che dopo le prossime elezioni potrebbe spalancare la strada a equilibri completamente nuovi, specie se la legge elettorale li permettesse. Se fosse tutta proporzionale, ad esempio, addio coalizioni. Ognuno correrebbe per sé e sarebbe libero di allearsi con chi gli pare: proprio come nella tanto vituperata Prima Repubblica.
Nella Lega non sono fessi e l' hanno capito al volo. Salvini non a caso si dice contro il proporzionale che ancora il mese scorso gli piaceva da matti (vedi il discorso a Pontida). Calderoli sparge il sospetto che l' obiettivo di «qualcuno» (uno a caso, magari domiciliato ad Arcore) sia solo quello di «inciuciare», per cui sarebbe meglio andare al voto subito dopo la vittoria del NO, senza por tempo in mezzo, con l'«Italicum» alla Camera e con il «Consultellum» al Senato.
La Meloni addirittura minaccia Mattarella di mobilitargli contro la piazza, casomai volesse ridare l' incarico a Renzi dopo le dimissioni... Questa è la destra italiana: ancora non ha vinto la battaglia referendaria, però già litiga su come spartirsi il bottino. I rari saggi che vi albergano temono che accordarsi non sarà facile. E scommettono che a togliere le castagne dal fuoco provvederà a febbraio la Corte costituzionale: la nuova legge elettorale verrà scritta dal Parlamento sotto sua dettatura, dalla prima all' ultima riga.
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