CHI L’HA VISTO? ERA DIVENTATO IL NOSTRO ANGOLO DEL BUONUMORE, NE SPARAVA UNA AL GIORNO: “QUANTE…
Simone Canettieri per “il Messaggero”
Punti di contatto: riservati e introversi, entrambi abbastanza allergici alle interviste e alle sparate pubbliche se non sui temi che reputano identitari (le autonomie e le grandi opere da una parte, i diritti civili dall' altra). Tutti e due molto ascoltati dai rispettivi leader. Se Matteo Salvini e Luigi Di Maio sono tornati l' altra sera a parlarsi al telefono, e forse oggi si incontreranno, è merito anche del lavoro dietro le quinte di Giancarlo Giorgetti e Vincenzo Spadafora.
I sottosegretari a Palazzo Chigi di Lega e M5S lunedì si sono sentiti, da buoni sherpa hanno posto le condizioni per «tornare a fare politica a un tavolo politico e non sui giornali». Per tentare di far uscire cioè la coalizione dalla nebbia di veline, attacchi frontali e veleni. Togliendo così il rumore di sottofondo che da due mesi a questa parte accompagna l' azione dell' esecutivo. Seppur da fronti opposti e con posizioni di forza differenti, Giorgetti e Spadafora hanno ragionato sull' opportunità di fare fronte comune davanti all' Europa e verso la più che possibile procedura di infrazione che sarà comminata all' Italia.
Da Palazzo Chigi trapela che è presto per parlare di pace - «meglio tregua» - e che l'ipotesi di un ritorno al voto, magari utilizzando la finestra del 29 settembre, «rimane in piedi». In queste ore però, soprattutto dal fronte M5S, si torna a vedere uno spiraglio.
La speranza concreta che il banco non salti. Il primo segnale è arrivato con lo Sblocca cantieri, accompagnato da una nota congiunta dei capigruppo al Senato Massimiliano Romeo (per il Carroccio) e Stefano Patuanelli (per i grillini). Segno che anche i rispettivi staff della comunicazione tornano a dialogare.
I due sottosegretari la pensano suppergiù allo stesso modo: la situazione è delicata e il quadro è suscettibile agli umori dei Capi. Ma grazie a loro «Matteo» e «Luigi» forse la smetteranno di darsele pubblicamente di santa ragione. Sia in Giorgetti (varesotto bocconiano, da sempre braccio destro dei leader della Lega da Bossi a Maroni passando per Salvini), sia in Spadafora (napoletano di Afragola, già capo della segreteria di Rutelli al Mibact e abile tessitore di relazioni nel Palazzo e in Vaticano) regna comunque una certa dose di realismo sulla difficoltà di andare avanti.
Al momento, sul tavolo di quello che viene chiamato «accordone» ci sono i decreti attesi dalla conversione in Parlamento (Sblocca cantieri e Crescita), l' autonomia e la Tav, le nomina del nuovo ministro agli Affari europei (che andrà alla Lega) e del futuro commissario Ue, che i grillini vorrebbero fosse Giorgetti.
Non è un mistero che il sottosegretario rimanga molto critico sugli alleati. Anche nello scorso week-end, con i fedelissimi, ha invocato il ritorno alle urne «perché tanto i grillini impazziscono» e «non reggono» e soprattutto in virtù della possibilità per Salvini di «capitalizzare» il consenso.
La partenza per Bruxelles di Giorgetti sarebbe per il governo la migliore assicurazione sulla vita, visto che da Di Maio in giù tutti lo vedono come fumo negli occhi. Il sottosegretario leghista rimane tra i più consapevoli della teoria «del piano inclinato» per i gialloverdi; quello del M5S, cauto per vocazione, da settimane spinge Di Maio ad abbassare i toni per avere un approccio propositivo, ma non rinunciatario. L' eterogenesi dei fini però potrebbe unirli.
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