PRIMO GIUGNO, ULTIMO MISFATTO: RE GIORGIO ANNULLA LA PASSERELLA STRACAFONAL DEL QUIRINALE…

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Malcom Pagani per "Il Fatto Quotidiano"

La voce si incrina: "Ma davvero? Ne è sicuro? Ma chi gliel'ha detto? Questa è una notizia fe-ra-le". il tono di Mario D'Urso, ex dirigente della Lehman Brothers, ex senatore, ex primatista mondiale di capodanni nella stessa notte (Manila, Los Angeles, Honolulu), ma ancora e per sempre dandy di lino vestito a suo agio in qualunque baldoria, è ferito.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha annullato il consueto ricevimento del primo giugno nei giardini del Quirinale: "Per ragioni di sobrietà e di massima attenzione al momento di grave difficoltà che larghe fasce di popolazione attraversano".

Duecentomila euro di risparmio da aggiungere ai tagli sul tema già messi in atto nel 2012. Buone ragioni che non impediscono all'uomo che tra un trenino maremmano, una corsa a Central Park con Jackie Kennedy, una vacanza con gli Agnelli e una colazione con la regina d'Olanda nel patio di casa sua ama divertirsi, di esprimere un sacrosanto rammarico: "Sono dispiaciutissimo".

All'evento aveva riservato la giusta importanza, ma Mario D'Urso (frase preferita: "Non è chic") è ferito come può esserlo un uomo di mondo: "Speravo di essere invitato, infatti. Mi ero tenuto libero. Avevo rimandato la visita in America per il compleanno di Kissinger posticipandola al 3, c'era una mostra fantastica a Berlino proprio negli stessi giorni. Che le devo dire? Reagirò".

D'Urso, che in una memorabile intervista a Barbara Palombelli tramandò il segreto per ovviare alle trappole del destino e ai grigiori dell'esistenza : "In ufficio, in viaggio, in macchina, avere sempre due camicie. Un'avventura, una macchia, un bottone che salta, bisogna sempre essere pronti al cambio veloce", muterà rapidamente programma.

Rotta verso altre feste e mappe da riscrivere a cui dovrà iniziare a pensare anche il prìncipe Carlo Giovannelli, indomito presenzialista del '34, ieri nel Nord Italia: "Con Simona Ventura e altri amici" per uno degli estenuanti riti mondani che costellano il suo orizzonte e domani ovunque, con lo smoking d'ordinanza, tranne che nei giardini che ai tempi della Repubblica Romana, ogni domenica, potevano essere visitati anche senza essere capo delegazione di una rappresentanza diplomatica.

"Ma il problema è proprio questo" - arringa il prìncipe - "il Presidente Napolitano ha fatto benissimo e ha evitato che la stampa, cominciando proprio da voi, lo attaccasse pretestuosamente. Il momento è quel che è, forse i costi sono diventati insostenibili e ormai il ricevimento era aperto davvero a chiunque". Cani e porci? "Se vuole, se le piace la definizione. A gente che comunque non c'entrava nulla. Ai miei tempi, la mia prima volta fu con il Presidente Leone, gli estranei si chiamavano Vitti, Tognazzi o Visconti".

In un momento di allegria, il primo ad aprire improvvidamente alla gente fu Saragat nel ‘69. La leggenda racconta che gli Unni calarono a migliaia, sparirono piatti, cucchiai e bicchieri e vennero ritrovate signore addormentate nella siepe con la bottiglia nella destra. Allora, nel cuneo di una finissima ipocrisia in guanti bianchi, si differenziò l'invito. Giardini aperti per i cittadini nel pomeriggio del 2 giugno. Tavolata per pochi intimi 24 ore prima.

Così per anni, fino al 1977. Quando nel riflusso finì oltre a molto altro, anche il déjeuner sur l'herbe. Ciampi, non prima di un serio intervento botanico al teatro di posa, riprese la tradizione nel 2001. In diretta proporzione all'abbrutimento generale, anche la parata di sistema fu fagocitata dallo Stracafonal.

Assembramenti inumani intorno al buffet, ex mogli a sventolarsi sotto il Ginco Bilobale, amanti, parenti, portaborse, cugini di quarto grado, amici degli amici. Tutti con una conoscenza giusta all'ingresso. Capaci, martellando per giorni pudori e segreterie competenti, di forzare la rigidità e trovare uno strapuntino in lista.

Lontanissimi dal contegno della nomenklatura quirinalizia che Pasolini, in "Petrolio", fissò come una Polaroid: "In cerchi concentrici attorno al Capo dello Stato, il verminaio era tutto un agitarsi di capini ora pelati ora canuti, ora folti ora radi: ma tutti assolutamente dignitosi".

Quisquilie per l'elegantissimo d'Urso, uno che all'orrore, preferisce l'elegia e che mai, non foss'altro che per educazione, sputerebbe nel piatto in cui ha mangiato: "Ho memoria solo e soltanto di ricevimenti imperdibili, stile assoluto e grandi presidenti. Il mio favorito è Napolitano, nato a Monte di Dio, a Napoli, nella stessa strada in cui vidi la luce io". Poi dipana altre parentele, altri ricordi, altri frammenti festaioli che quest'anno, in zona Quirinale, rimarranno solo un'aspirazione.

Saluta, ma prima di farlo, ha un ultimo rimpianto invocato anche da Giovannelli. La beneficenza. Se il principe giura che ormai "quasi non esiste festa che non la preveda" D'Urso non si capacita della mancanza di organizzazione. Se lo avessero chiamato, avrebbe saputo come fare: "Sarebbe stato facile. Peccato. Sarà anche cambiato tutto, ma io al ricevimento del Quirinale ero abituato. Devo essere diventato proprio vecchio".

 

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