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DAGOREPORT – GENERALI DELLE MIE BRAME: L’AGO DELLA CONTESA POTREBBE ESSERE ANDREA ORCEL, BANCHIERE…
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Gli esperti di intelligence la chiamano "social engineering", ovvero la capacità di manipolare psicologicamente le persone allo scopo di far compiere determinate azioni o rivelare informazioni riservate. Ed è con questi occhi che vanno guardate le bizzarre rivelazioni sui gadget-spia con i quali i russi avrebbero attentato alla credulità degli ospiti del G20 di San Pietroburgo, lo scorso settembre.
Praticamente ignorate dal resto della stampa europea, se non per registrare le scontate smentite dei Putin-boys, le chiavette-spia del Kgb sembrano uscite da un filmetto degli anni Novanta ed è forse per questo che in Italia sono piaciute un sacco.
I giornaloni di casa nostra ci si sono buttati a pesce, con i migliori pistaroli arrapati all'idea di poter finalmente passare dallo smercio delle intercettazioni telefoniche di procure di periferia alle grandi spy-story intercontinentali. Peccato che così facendo si siano prestati, certo inconsapevolmente, a un gigantesco tentativo di sviare l'attenzione della pubblica opinione dal Datagate americano a un improbabile scandalo da ritorcere contro quei cattivoni dei russi. Che tra parentesi sono colpevoli di offrire protezione a Edward Snowden.
A guardare i media degli altri Paesi, si nota che ci siamo cascati solo in Italia, anello debole dell'Occidente anche quanto a informazione e libertà di stampa. Del resto, dal Niger-gate alle storie ispirate da un certo Pio Pompa, siamo da anni il terreno di cultura perfetto per la crescita delle patacche e per la loro immissione nel circuito informativo.
Il piano di spionaggio che sarebbe stato ideato dai russi per il G20, così come soffiato ad alcuni giornali di casa nostra, è di una raffinatezza degna di un'agenzia di investigazioni private di Monza. E gli strumenti che sarebbero stati adoperati, ovvero gadget "abilmente" manipolati, sembrano scelti al negozio per spioni dell'aeroporto di Francoforte.
Mancano solo gli occhiali a raggi "X" che venivano pubblicizzati sul retro delle schedine del Totocalcio trent'anni fa e poi la farsa è completa. Fa tutto un po' ridere, ma non importa. Quello che veramente importa, quando hai il merdone che ti esplode tra le mani, è una buona azione di "social engineering". E noi italiani, se chiama lo Zio Sam, siamo sempre molto social.
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