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Marcello Zacché per âIl Giornale'
La luna di miele tra i mercati e il premier Renzi è finita. Ne abbiamo avuto un assaggio giovedì scorso, con il crollo della Borsa del 3,6% e l'impennata di 30 punti dello spread. Poi, dopo il timido recupero di venerdì, anche ieri gli indicatori sono stati negativi. Soprattutto lo spread, il differenziale tra i rendimenti dei Btp e quelli dei Bund tedeschi, tornato alla pericolosa quota 180. Sarebbe però superficiale addebitare solo al governo italiano le forti vendite di questi giorni in Piazza Affari.
Ieri a soffrire sono stati tutti gli spread d'Europa: dalla Spagna, passata da 160 a 165, al Portogallo, da 236 a 248, fino alla Francia, che nel suo piccolo è salita da 44 a 46. Segno che il movimento, sui mercati, è molto ampio. E il messaggio chiaro: a cinque giorni dalle elezioni europee, il timore di una forte ondata anti-europeista (e anti-euro) ha risvegliato negli investitori le peggiori inquietudini di questo decennio. E le ha scaricate soprattutto sulle periferie del continente: le economie mediterranee, ma anche le più fragili del nord, come Irlanda, Olanda o Finlandia.
D'altra parte i forti flussi finanziari, approdati in Europa dai Paesi emergenti e dagli Usa alla ricerca di rendimenti elevati e listini sottovalutati, non aspettavano altro che una correzione. Una scusa, un pretesto per vendere e portarsi a casa qualche bel risultato. Si pensi che in Italia, dalla fine di gennaio (quando iniziava a prendere forma il governo Renzi) a metà della scorsa settimana, la Borsa era cresciuta del 16% e i prezzi dei Btp decennali del 7,5 per cento: uno sproposito, in meno di 4 mesi. Serviva una correzione e le elezioni europee, con i vari Grillo, Tsipras o Le Pen dietro l'angolo, erano perfette per giustificarla.
Peccato però che ci sia anche dell'altro: la correzione è stata innescata, giovedì scorso, non dalla crisi in Ucraina o dal prezzo delle arance. Bensì dalla peggiore delle notizie possibili. Quella di una crescita europea ridotta al lumicino: +0,2% il Pil dell'Europa «a 18» nel primo trimestre dell'anno. Ma qui la storia diventa molto nostra perché dei maggiori Paesi europei solo l'Italia ha registrato un Pil addirittura negativo: -0,1%. La delusione è stata forte.
Il sospetto che questo Paese non riesca in alcun modo a uscire dalla recessione è tornata a farsi sentire e a spaventare i capitali stranieri appena tornati a interessarsi all'Italia. Una storia che d'altra parte va avanti dal 2011, da quando le politiche fiscali restrittive del governo Monti hanno affondato ogni capacità di crescita. Da allora, messe a confronto le principali economie del Pianeta, solo la curva del Pil italiano si allarga e sprofonda così pesantemente nella recessione.
Ecco perché quel dato sul Pil, a torto o a ragione, chiama in causa il governo Renzi, ne mette in dubbio le capacità taumaturgiche fin qui accreditate. Poco importa se Renzi è in carica solo dalla metà di questo primo trimestre, mentre la sensazione che con il suo esecutivo siano arrivati ben pochi provvedimenti per l'economia è sempre più diffusa tra autorevoli economisti e osservatori.
Sta di fatto che, dopo tre mesi di bombardamento mediatico sul gran lavoro del premier e dei suoi ministri, ci si ritrova con il Pil negativo e un tasso di occupazione sotto il 60% - peggio di noi solo la Grecia -, mai così basso dal 2002. Per questo diventa molto pericoloso, di fronte alla fuga degli investitori, consolarsi con la giustificazione della paura per le elezioni europee: questa potrà passare già da lunedì prossimo. Mentre la fiducia nella ripresa della nostra economia, come nel gioco dell'oca, rischia di tornare al punto di partenza.
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