DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Giorgio Meletti e Carlo Tecce per “Il Fatto Quotidiano”
Quasi un anno fa, a settembre, la procura di Milano ha iscritto Claudio Descalzi nel registro degli indagati per corruzione internazionale relativa a una presunta tangente da 1,098 miliardi di euro di Eni per il giacimento Opl 245 in Nigeria. Il capo del Cane a sei zampe, nominato dal governo di Matteo Renzi, ha atteso poche ore per ottenere le rassicurazioni pubbliche del fiorentino.
matteo renzi pier carlo padoan
In privato i due s’erano già sentiti. Renzi ha fatto riferimento all’erede di Paolo Scaroni durante un discorso in Parlamento e con un tweet ancora più esplicito: “Sono felice di aver scelto Claudio Descalzi ceo di Eni. Potessi lo rifarei domattina. Io rispetto le indagini e aspetto le sentenze”. Per Renzi lo sforzo è minimo, perché rivendica la filosofia del “giglio magico”: mai espellere dai posti di comando gli indagati (se non per altri motivi), mai mostrare il fianco ai magistrati.
STAVOLTA la faccenda è diversa. Eni ha all’orizzonte una possibile multa della Sec (la Consob americana) e del dipartimento di Giustizia, un rischio molto temuto in azienda, fino a un miliardo di dollari, che potrebbe causare danni al bilancio e alla reputazione del gruppo. A questo punto Renzi deve valutare se sbilanciarsi nella copertura mediatica a Descalzi, la cui strategia potrebbe risultare perdente.
Renzi valuta gli errori contestati al manager dall’ex consigliere Luigi Zingales, in sintonia con il premier, che s’è dimesso lo scorso 3 luglio: perché Eni non collabora con le autorità americane per ridurre la portata della multa e chiudere la vicenda? Eni non può ammettere neanche una esigua parte di colpe, visto che in Italia c’è un procedimento in corso a Milano che coinvolge l’amministratore delegato e i precedenti vertici. Renzi si fida di Descalzi, lo reputa un “bravo ragazzo”, e l’ha promosso per evitare l’eterno mandato a Scaroni senza rotture traumatiche con il passato. Ma un’eventuale multa da un miliardo non potrebbe essere ammortizzata con una dichiarazione, l’impatto sarebbe troppo rumoroso e per Descalzi sarebbe troppo complesso restare.
Così Renzi attende la decisione degli americani senza esprimersi (come tacque sul caso Zingales). Ieri ha dedicato a tutt’altro il consueto profluvio mediatico del sabato. Ma entro l’autunno potrebbe arrivare la multa degli americani: a quel punto, Descalzi potrebbe già trovarsi altrove. In questi mesi di fitto dialogo con il premier ha imparato che nessuno è in grado di resistere sulla poltrona senza l’appoggio esplicito di Renzi.
La reazione dell’Eni alle notizie pubblicate dal Fatto è stata nel segno dell’imbarazzo. Di prima mattina il capo della comunicazione Marco Bardazzi si è lanciato in un tweetsbaraz - zino: “Ricordiamo a @fattoquotidiano e @marcotravaglio che #lacartacosta, peccato averla sprecata per notizie false su @eni”. Successivamente la severa tesi delle “notizie false” si è ammorbidita nel più prudente “non ci risulta” ufficiale: “Eni ribadisce di non avere alcuna notizia su eventuali richieste di sanzione da parte della Sec o di altra autorità americana”. Risolto così il problema principale, la nota Eni, che polemizza con un “quotidiano italiano” senza nominarlo, ci regala due spiritosaggini.
LA PRIMA FA IRONIA sul titolo del Fatto di ieri: “Eni è pertanto lieta di informare la testata che non vi è alcun ‘panico’ presso la società”. La seconda rappresenta la tesi secondo cui non sarebbe “vagamente minaccioso” rispondere a una richiesta di commento per un articolo di futura pubblicazione avvertendo “che la società avrebbe tutelato la sua immagine e reputazione, quella dei suoi manager nonché gli interessi dei propri azionisti nelle sedi competenti”.
L’unica novità autentica è che l’Eni ha “dato incarico a un primario studio legale americano di svolgere una verifica indipendente sulla vicenda OPL 245 e che gli esiti di tale verifica non hanno rilevato alcuna condotta illecita. Tali risultanze sono state di recente presentate alle autorità americane e anche depositati alla Procura di Milano”. Lo scorso 31 maggio l’Eni aveva comunicato ufficialmente di aver dato il documento alla magistratura italiana e basta.
D’altra parte sul fronte aperto negli Stati Uniti con la Sec e il Dipartimento di Giustizia per le presunte tangenti nigeriane il gruppo petrolifero è sempre avaro di parole. Sull’ultima relazione di bilancio, relativa al 2014, l’unica notizia in merito, in 370 pagine, è la seguente: “Eni ha preso contatto con le competenti autorità americane (SEC e DoJ) per avviare un’informativa volontaria sul tema”.
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