L’ARTIGLIO DELLA PALOMBA - ANDREOTTI MANEGGIÒ SEGRETI E RAPPORTI INCONFESSABILI. MA LA POLITICA ATTUALE SA FARE MEGLIO?

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Barbara Palombelli per "il Foglio"

Ci davamo del tu. Ci conoscevamo da più di trent'anni. C'era perfino una lieve parentela, fra noi, scoperta pochi anni fa. Un suo zio Falasca, generale dei granatieri, aveva sposato la zia di mia madre. Le storie romane antiche lo divertivano come il calcio e i cavalli. La biblioteca vaticana era un suo rifugio molto amato, "i diari dei cardinali morti all'improvviso sono una miniera di notizie", era curioso di tutto e di tutti. L'ho intervistato ovunque, sempre in luoghi strani e diversi.

Nel suo ufficio in piazza Montecitorio, la prima volta, al mattino presto. In sala d'attesa, il sindaco di un paesino e l'ambasciatore degli Stati Uniti, "se non ci fosse quel sindaco, non ci sarebbe l'ambasciatore". In Cina, quando disse "siamo venuti qui con Craxi e i suoi cari", alludendo al Jumbo Alitalia carico di amici e famigliari di Bettino. All'ippodromo di Capannelle, mentre scrutava i cavalli di Luciano Gaucci con un binocolo minuscolo.

Su un volo fra Mosca e Vienna, scortati dai Mig sovietici, con una turbolenza folle, il mio registratore in bocca. In televisione, in radio tante volte, mai le stesse parole. Non amava le interviste in ginocchio, venne volentieri a "Samarcanda" - prima edizione, '87-'88 - e rispose a tutto. Al premio Fiuggi, seduta fra Gorbaciov e Sophia Loren, scrissi per il Corriere di Ugo Stille un pezzo sul tovagliolo.

Con Andrea Barbato - su RaiTre, 1992, nella trasmissione "Italiani" - gli chiesi, mostrando l'articolo di un giornale americano, cosa aveva da dire sui rapporti con la mafia. Non ha mai preteso domande scritte o piaggerie molto in voga da qualche anno. Non aveva addetti stampa, se non per un breve periodo a Palazzo Chigi l'ex Radicale Stefano Andreani.

Bastava la signora Enea, mitica segretaria in grado di dare ogni appuntamento con semplicità assoluta. Tutti i miei direttori mi spedivano da Giulio Andreotti (e dal suo braccio destro Franco Evangelisti) a cercare sempre un titolo, qualcosa che rimbalzasse e facesse discutere. E così era, praticamente sempre.

Il più andreottiano fu Claudio Rinaldi, scomparso troppo presto e molto rimpianto. Quando dirigeva l'Europeo, istituì una sorta di appuntamento con i diari di Franco Evangelisti: mi scapicollavo, anche di domenica, nella casa di via Ezio a trascrivere quello che Giulio non poteva dire e Franco sì.

Claudio, repubblicano convinto e avversario leale della Dc, affidò una rubrica fissa proprio al democristiano più chiacchierato: domò un'assemblea di redazione infuocata spiegando loro che l'Europeo era un settimanale "corsaro" che doveva farsi largo tra Espresso e Panorama a ogni costo e aggiunse che Andreotti vendeva molti libri e scriveva benissimo, "meglio di tanti di voi".

Il giudizio storico, l'analisi dei suoi diari e delle sue vicende processuali sono consegnati a chi vorrà studiarli. Vederlo ieri, nella piccolissima bara nello studio, faceva impressione. Il viavai continuo in quella casa di famiglia che non è mai stata un salotto e mai ha ospitato la politica pubblica rendeva omaggio ad una classe dirigente che ha certamente maneggiato segreti inconfessabili e intrattenuto rapporti oscuri e misteriosi con organizzazioni interne ed internazionali, ma che ci ha comunque governato in anni complicati e difficili. Sapranno fare di meglio quanti sono oggi al potere? Gli sguardi smarriti dei romani che sostavano in corso Vittorio Emanuele sembravano alla ricerca vana di una risposta.

 

Feretro di Giulio Andreotti GIULIO ANDREOTTI E ANNA MAGNANI bertone alla camera ardente di andreotti foto ansa ultima uscita andreotti foto mezzelani gmt CIRINO POMICINO BERTINOTTI FRANCO MARINI ANDREOTTI FOTO LA PRESSE FEDERICO FELLINI E GIULIO ANDREOTTIANDREA BARBATO LUCIO MAGRI WALTER VELTRONI Claudio Rinaldi giornalistaFranco Evangelisti