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DAGOREPORT - GIORGIA MELONI SOGNA IL FILOTTO ELETTORALE PORTANDO IL PAESE A ELEZIONI ANTICIPATE?…
1 - UNO SCIOPERO COSÃ NON Ã DA PAESE CIVILE...
Giangiacomo Schiavi per il "Corriere della Sera"
Nella metropolitana di Milano, prima dell'inizio dello sciopero, molti passeggeri hanno tentato di salire sugli ultimi treni disponibili. Nella foto, una signora alla fermata Duomo passa sotto la saracinesca mentre si sta chiudendo. Non è da Paese civile uno sciopero così, con il caos, i disagi, la paura di centinaia di passeggeri sequestrati nel metrò e Milano che paga un prezzo altissimo alle ragioni contrattuali degli autoferrotranvieri.
Non è accettabile scaricare ogni volta sull'utenza il peso di una protesta che appare rituale, bloccare le città italiane, da Venezia a Roma a Napoli a Bari, senza cercare un compromesso tra rivendicazioni legittime ed esigenze della comunità . Altre volte, invece, la meccanica dello sciopero con le fasce di garanzia è stata assorbita dai cittadini rassegnati a lunghe code e grandi attese. Ieri a Milano c'è stato un corto circuito. Un'isteria collettiva scatenata da un freno a mano tirato sulla linea Uno del metrò.
Tutto bloccato, a pochi minuti dal secondo tempo dello sciopero. I passeggeri che dovevano scendere dal treno si sono rifiutati di farlo. Quelli che dovevano allontanarsi dalla banchina hanno ignorato l'invito dell'Atm. Il timore di perdere l'ultimo metrò ha fatto scattare un'insubordinazione. I cittadini non si sono fidati degli annunci e delle parole dei controllori. Hanno presidiato il treno. Si sono ammutinati. La ragione è stata scavalcata da un atto di forza. Uguale e contrario a quello che tanti passeggeri ritenevano di aver subito da chi ha proclamato lo sciopero.
C'è sempre qualcosa di esagerato quando una situazione precipita. Le immagini delle persone che abbassano la schiena, rischiando di essere schiacciate dai cancelli del metrò per raggiungere in tempo il posto di lavoro, sono indicative. Qualcuno aveva calcolato i tempi esatti dell'agitazione: e protesta o corre perché spera di farcela e teme che le serrande vengano abbassate qualche minuto prima.
à difficile spiegare a un lavoratore lasciato a piedi che i sindacati non ce l'hanno con lui, ma con il governo. Chi soffre e patisce di più questa situazione è un utente debole, penalizzato dalla crisi e infastidito dai troppi disagi. Chiede anche lui rispetto. Chiede anche lui di essere capito. Di non essere lasciato lì, come un pacco. Di non essere umiliato.
Venezia, Bologna, Roma, Napoli, Bari. In ogni città il blocco del trasporto pubblico ha creato un'emergenza. Ma a Milano l'emergenza è diventata allarme, una questione di ordine pubblico. à intervenuto il prefetto. Si è mosso il questore. Sono arrivate le ambulanze del 118. Si è affacciata l'ipotesi della precettazione, mentre il sindaco Pisapia twittava da lontano: Atm sta intervenendo il più presto possibile...
Ci sono colpe, responsabilità ? Adesso la Lega parla di situazione da Terzo mondo e chiede le dimissioni del presidente Atm. Il teatrino della politica si muove secondo i soliti rituali. La sinistra accusa il centrodestra per la gestione passata dei trasporti. Ma la questione sollevata dall'inferno nel tunnel della linea rossa di Milano è un'altra. à quella del rispetto per i cittadini, della responsabilità dei sindacati, della necessità di tutelare tutti quei lavoratori sui quali si scarica lo sciopero dei trasporti pubblici.
à arrivato il tempo di fare un salto di qualità nelle relazioni tra sindacati e governo: uscendo dai soliti riti, evitando di mettere quaranta sigle attorno a un tavolo (che non si troveranno mai tutte d'accordo) e scegliendo accordi territoriali, dove è possibile. Il sindacato dovrebbe prendere atto che la chiave solidaristica nella distribuzione degli aumenti è un modello superato; certe situazioni, costo della vita, stress e rischi non si possono comprimere dal Nord al Sud, come negli anni Settanta, quando sempre e comunque era lo Stato a far da cassa comune. Il governo, poi, non dovrebbe più far passare cinque anni per un contratto.
I fatti di Milano, conseguenza imprevista dell'agitazione, lasceranno certamente il segno. Sono lo specchio di una situazione che rischia di andare fuori controllo: invitano tutti ad assumersi nuove responsabilità . Il Paese non merita certe scene di inciviltà .
2 - UNA TRAPPOLA PER TRENTAMILA - «RISCHIAVAMO DI SOFFOCARE»...
Gianni Santucci e Armando Stella per il "Corriere della Sera"
Alzano la testa in fondo a una giornata umiliante, iniziata strisciando sotto le saracinesche: «Non siamo bestie! Non siamo sudditi!». Dalla stazione di Porta Venezia emergono i passeggeri che hanno forzato le porte del treno e camminato lungo i binari della galleria, rasenti al muro, buio pesto. Sudati, stravolti: «Umiliati». Ecco la signora Antonella Zappietro, si fermi, prenda fiato: «à una vergogna, rischiavamo di soffocare lì sotto».
Le sorelline ventenni Giulia e Alice Foglia: «Paura, sì, paura». Un cordone di agenti di polizia sbarra l'accesso alla banchina di Lima, sembra una manifestazione di piazza, divise, ordine pubblico e comunicazioni via radio, il ritorno a casa trasformato in un viaggio sotto scorta. «Eravamo in trappola», trema la signora Elisabetta Miceli. L'agente di stazione, accerchiato dai pendolari, esaurisce presto le scuse e viene investito dalla rabbia. Insulti. Frustrazione. L'altoparlante annuncia il ritorno alla normalità solo alle 19.12: «Stiamo per ridare tensione elettrica alla linea...». Ormai è tardi. Milano è stata colpita da infarto, 30 mila passeggeri coinvolti nel caos.
La linea rossa è l'asse di trasporto pubblico strategico per gli spostamenti dei milanesi e dei pendolari da fuori città . Trasporta 440 mila persone al giorno. Se s'inceppa o balbetta, se viene anche solo rallentata da un guasto, ne risente tutta la rete metropolitana. Se si blocca, come ieri, è la paralisi. Dalla centrale Atm sono partite telefonate al prefetto Gian Valerio Lombardi: «Una situazione del genere - spiegano dalla dirigenza - non poteva essere gestita con strumenti ordinari». Il sindaco Giuliano Pisapia ha risposto costantemente ai suoi «follower» su Twitter: «Atm sta intervenendo più in fretta possibile».
Ma si era capito subito, appena dal sottosuolo sono state lanciate le prime richieste di soccorso, che il martedì nero di Milano avrebbe lasciato strascichi pesanti da assorbire. La Lega invoca un passo indietro del presidente Atm Bruno Rota: «Si vergogni e si dimetta». La maggioranza di centrosinistra in Comune difende il vertice dell'azienda: «Il centrodestra ha governato Milano per vent'anni - taglia corto Carmela Rozza, capogruppo pd - e ci ha lasciato un metrò che cade a pezzi».
Un'ora e mezzo di blackout. Il blocco del primo treno, alle 17.45, inchioda una trentina di convogli tra un capolinea e l'altro. L'immagine della stazione di Porta Venezia, alle 19, descrive pienamente l'assurdità di questo malato martedì di sciopero dei trasporti: il locomotore è spento, i vagoni sono in ombra, eppure gran parte dei passeggeri non scende, tiene la posizione, resta al suo posto, scruta i movimenti nervosi sulla banchina, non si fida, forse è l'ultima occasione buona per tornare a casa, chissà se ne passerà un'altra.
Un segnale di speranza, alle ore 19.06, arriva dall'altoparlante: «Tutti i passeggeri della linea M1 verranno portati a destinazione». A quest'ora, nel pieno del delirio, Atm ha di fatto «precettato» i macchinisti e allungato la fascia oraria di garanzia. Un quarto d'ora dopo si mette in moto il primo treno. Passeranno altri sessanta minuti prima che tutte le stazioni vengano evacuate e l'intera flotta del metrò rientri in deposito.
L'assessore milanesi ai Trasporti è un giovane amministratore di scuola pd, il trentenne Pierfrancesco Maran: «Chiederemo ad Atm una relazione accurata - assicura -. Se alcuni meccanismi per la gestione delle emergenze possono essere migliorati, lo vedremo. Da parte del Comune c'è piena disponibilità a migliorare il servizio». Sul piazzale di Lima ci sono due ambulanze, i medici del 118, i vigili del fuoco, i carabinieri. Sembra di rivedere la scena d'una settimana fa, quando due treni si erano tamponati in galleria. Stavolta non ci sono contusi, ma pensionati vittime di attacchi di panico, studentesse impallidite, impiegati stanchi, snervati.
Sul treno fermo lungo la banchina di Porta Venezia i passeggeri entrano ed escono dal treno in attesa della ripartenza. Ogni vagone diventa teatro di lamentele, ogni porta aperta è un palcoscenico per sbottare di insofferenza. E così sulla prima porta, quella più vicina alla postazione del macchinista, un uomo fissa un carabiniere e spiega con voce roca: «Se salgo sui mezzi dimenticando il biglietto mi fanno una testa così, capito? E 'sto casino come lo giustificano?».
Il resto è una sequela di «si crepa dal caldo», «è inaccettabile», «dobbiamo soffocare?». Pochi minuti dopo la messa in moto del treno il sollievo non è ancora calato. Un paio di ragazzotti sbattono pesanti manate sulle fiancate del treno, bum bum come un tamburo, il resto del convoglio si unisce al coro: «Vergogna! Vergogna!».
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