I CATA-FALCHI DEL CAV – MINISTRI IN PIAZZA E DIMISSIONI PRONTE: POI CONFA E LETTA MANDANO A GAGARE I SOLITI IDIOTI

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Tommaso Labate per "Il Corriere della Sera"

«Enrico, ho provato già a riparlarci più volte. Non c'è niente da fare, Berlusconi è irremovibile. Vuole tutti noi ministri con lui sotto Palazzo Grazioli, stasera». Domenica 4 agosto 2013. Tre giorni fa. Quando riceve la telefonata di Angelino Alfano, quella in cui il vicepremier gli comunica l'ultimo ordine di scuderia di Silvio Berlusconi, Enrico Letta sente dentro di sé che il suo governo è arrivato al capolinea.

C'è solo da aspettare qualche ora, il ritorno a Roma del Cavaliere e la manifestazione coi ministri. Perché il finale, già scritto, è lo stesso che il presidente del Consiglio anticipa al suo vice: «Angelino, sia chiaro, non ce l'ho con te. Ma come ho detto più volte, non sto al governo a tutti i costi. Se Berlusconi vi obbliga a stare in piazza con lui, un minuto dopo la fine della manifestazione salgo al Quirinale e rimetto il mio mandato nelle mani di Napolitano». Alle 13.05, insomma, «l'operazione per decretare la fine dell'esecutivo», rivelata ieri dal ministro Gaetano Quagliariello nell'intervista al Corriere , ha avuto successo.

Per capire come si sia arrivati al cambio di passo di Berlusconi, bisogna riavvolgere il nastro. E tornare alle prime ore della mattinata. La notte prima, il Cavaliere era andato a dormire convinto della regola d'ingaggio impartita ai suoi ministri. Della serie, «in piazza vado solo io, con voi ci vediamo per cena, così facciamo il punto in vista dell'incontro di Brunetta e Schifani con Napolitano», già programmato per lunedì 5 agosto.

Ma qualcosa gli fa cambiare idea. Ed è il pressing telefonico che l'ala dura del partito, Daniela Santanchè in testa, comincia a esercitare su di lui. Con un solo, semplicissimo messaggio: «Presidente, i ministri stanno provando a convincerti che se ci comportiamo responsabilmente arriverà prima o poi un provvedimento di clemenza nei tuoi confronti. Ma se stiamo fermi, non arriverà un bel nulla. Altro che grazia...». Berlusconi si consulta coi figli e parla con la fidanzata Francesca Pascale. Ma la decisione è presa. E il diretto interessato la comunica al telefono ad Alfano: «Ho cambiato idea. In piazza andiamo tutti, ministri compresi».

Maurizio Lupi è l'unico che non si riesce a contattare telefonicamente. Gli altri sono già avvertiti. Qualcuno di loro, come Nunzia De Girolamo e Gaetano Quagliariello, garantisce la presenza in piazza. Ma, è l'adagio che entrambi oppongono a Berlusconi, «prima di venire, per una questione di correttezza istituzionale, annunciamo le nostre dimissioni dal governo». Governo a cui, come certificherà Letta nella telefonata delle 13 col suo vicepremier, rimangono comunque poche ore di vita.

Non ci sono solo «i falchi» del Pdl, in questa partita. C'è anche un pezzo di centrosinistra. Alcuni parlamentari del Pd, per esempio, vengono avvertiti in anticipo dell'attacco definitivo che Berlusconi, scegliendo di portare in piazza i ministri, sta per sferrare al governo Letta. E la prova dell'esistenza di una diplomazia parallela nelle larghe intese si materializza quando l'inconsapevole ex tesoriere dei Ds Ugo Sposetti, che una settimana prima aveva annunciato il tracollo «come un birillo» del Pd in caso di condanna di Berlusconi, riceve sul suo telefonino alcuni sms di fronte a cui trasecola.

Tutti dello stesso tono: «Caro Sposetti, la tua tesi era corretta. Ma come un birillo salta prima il Pdl che il Pd». Sposetti, ovviamente, pensa a uno scherzo. Non sa né immagina quello che ci sta dietro. Non può conoscere il cambio di rotta di Berlusconi. Né tantomeno il suo obiettivo, che il Cavaliere ha già affidato ai fedelissimi: «Se stasera cade il governo, si va al voto e vediamo come va a finire».


A sventare l'«operazione pronta per far cadere il governo» sono gli amici di una vita di Berlusconi. Gianni Letta, che gli telefona prima che l'ex premier salga sull'aereo che sta per riportarlo a Roma. E anche Fedele Confalonieri. Entrambi, oltre che essere persone fidatissime, hanno maturato negli anni - seppur in modo diverso - rapporti molto cordiali con esponenti di primo piano del centrosinistra.

Ma mentre il secondo si premura di ricordargli i rischi che correrebbero «le aziende» in caso di crisi di governo - speculazioni agostane sui mercati, crollo delle Borse, l'incubo già vissuto nell'autunno 2011, prima dell'arrivo di Monti - il primo racconta a «Silvio» un film diverso rispetto a quello che l'ex premier ha immaginato. Un film il cui finale suona alle orecchie berlusconiane più o meno così: «Non illudiamoci che, se cade il governo, si va dritti al voto. Perché c'è il rischio che un pezzo del Pd, che non aspetta altro, si saldi col Movimento 5 Stelle e faccia nascere un nuovo governo. E poi...».

Oltre i puntini di sospensione, c'è praticamente il peggiore degli incubi berlusconiani. Lo stesso spiegato ex post da Quagliariello: nuovo premier, nuovo governo, legge elettorale punitiva nei confronti del Cavaliere. Che, sottotesto, a quel punto sarebbe già privato della libertà.

È lì che Berlusconi si ferma. E la storia di quella domenica cambia. L'ex premier avverte i ministri del contrordine. «Non venite più». Enrico Letta, alle 20, aspetta la fine della manifestazione. Poi chiama Guglielmo Epifani e disdice l'appuntamento col Colle. Governo salvo, per adesso. Operazione sventata. Infatti, quando se li ritrova a cena a Palazzo Grazioli, il Cavaliere ostenta di fronte ai suoi ministri - da De Girolamo a Quagliariello - il più sincero e rassicurante dei sorrisi. Una scena che consente a Bondi, ieri, di rispondere al ministro delle Riforme che «tutti sosteniamo il governo». Fino a nuovo ordine.

 

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