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Giovanna Casadio per “la Repubblica”
«Perché non si fa nominare ministro? », gli chiedono i giornalisti dopo avere ascoltato le sue proposte dal palco. Pierluigi Bersani fa un cenno come per dire: «Eh no, non è aria». Ma la “sinistra di governo”, il fronte del Pd anti renziano, riunito nell’assemblea nazionale della corrente “Area riformista”, riparte da Bologna, dal mitico “modello di governo emiliano” ormai appannato. Riparte denunciando il «rapporto squilibrato tra capitale e lavoro» decretato dal Jobs Act di Renzi, dalle unioni civili che vanno fatte subito, dal reddito di cittadinanza che non c’è. E dal “no” all’Italicum così com’è. Bersani torna all’attacco: «Leali sì, ma io non la voto questa legge elettorale se non cambia. Nel Pd la rottura aprirebbe una incrinatura, tuttavia sono certo si ragionerà».
Parole d’ordine concrete della “ditta” bersaniana, che non è però la riscossa degli ex Ds-Pds-Pci, ma il ritorno all’anima ulivista. «Per me la ditta è sempre stata quella cosa lì, l’Ulivo... », confessa l’ex segretario. Prodi, il padre dell’Ulivo, non c’è. Non c’è Stefano Bonaccini, l’ex bersaniano passato al renzismo e diventato “governatore” dopo che Vasco Errani — in prima fila e ringraziato — si è dimesso per la condanna per falso ideologico. La “ditta” riunita vuole stare dentro il Pd «con tutti e due i piedi e un proprio punto di vista».
Una sinistra che non è certo quella di Landini, attaccata anzi da Roberto Speranza — leader di “Area riformista” e “delfino” bersaniano. Del resto sul Jobs Act, Speranza e Cesare Damiano sono stati “trattativisti” con il governo. A Bologna ci sono i bersaniani al governo (Martina, De Micheli, Pizzetti) e in segreteria (Amendola, Campana), Gotor, Epifani, D’Attorre, Giorgis. Il disagio di stare dentro il PdR, il Pd di Renzi, ha diverse sfumature, ma la sfida è di riconquistare il partito. Bersani non deroga: «Dicono “se non siete d’accordo allora andate fuori”, no vai fuori te che questa è casa mia». È l’offensiva, applauditissima.
La domanda del resto è: «Sa fumìa?», in emiliano “cosa facciamo”. Il problema — rilancia Bersani — e quello che avvertono tutti coloro che non sono andati a votare in Emilia Romagna, che non hanno rinnovato il tesseramento del Pd infatti «dimezzato». «Dei molti che sentono il rischio di spaesamento, scollamento e allontanamento». Si deve ricominciare dai territori e perciò viene affidato a Nico Stumpo, a Mauri e a Pegorer l’incarico di radicamento della sinistra dem. Nessuna ipotesi di scissione.
«Non ci sono Bertinotti qui», è l’appunto che Speranza ha sul foglio ma poi preferisce toni più misurati: «Scissione è una parola fuori dal nostro vocabolario». Riforme certo, anche di più di quelle che si stanno facendo ma «discutendo e non chiacchierando — distingue Bersani — perché discutere è la possibilità di farsi convincere». Un’illusione, secondo Nichi Vendola, il leader di Sel, che con Bersani aveva nel 2013 stretto alleanza, e adesso gli manda a dire: «Siamo al penultimatum. Il Pd di Renzi è antropologicamente modificato ». L’ex segretario dem invece è convinto che la sinistra nel Pd ce la farà e sabato prossimo ha voluto una convention di tutte le minoranze: «C’è ora la possibilità di allargare».
Nessuna tregua a Renzi e alla sua linea: «Quando sento “tutti quelli che ci hanno preceduto non hanno fatto niente”, eh no, non mi ammucchi Prodi con Berlusconi, né Visco con Tremonti. Perché può esserci un rischio politico in questo, sostituire destra e sinistra con il prima e il dopo, che porta a esiti indesiderati ». Bacchettata sul Patto del Nazareno (di cui «non c’era bisogno»), e sullo sdoganamento di una destra regressiva: «Nei luoghi dove vado a fare aggiornamento professionale, nei supermarket e nei bar, si sente l’eco di questa regressione culturale e politica».
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