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Paolo Mastrolilli per “la Stampa”
La soluzione dei due stati, israeliano e palestinese, resta la linea americana in Medio Oriente, perché è la migliore per «allentare le tensioni». Alla luce della vittoria di Netanyahu nelle elezioni di martedì, però, gli Usa «riesamineranno» la loro strategia. Il negoziato sul programma nucleare con l’Iran non verrà influenzato, mentre le dichiarazioni del premier sugli arabi che andavano a votare in massa sanno di razzismo, e Washington solleverà il problema alla prima occasione, perché «mina i valori e gli ideali democratici che sono stati importanti per la nostra democrazia, e sono una parte importante di ciò che lega gli Stati Uniti e Israele».
obama netanyahu
NETANIAHU E OBAMA
obama netanyahu assad isis 1
I primi contatti
Le congratulazioni per il successo di Bibi, che il segretario di Stato Kerry ha già fatto di persona mentre il presidente Obama le porgerà nei prossimi giorni, sono state accompagnate dal portavoce della Casa Bianca Earnest con una serie di precisazioni, che dimostrano quanto sarà complicato ricostruire il rapporto.
COLLOQUIO ALLA CASA BIANCA TRA BARACK OBAMA E BENJAMIN NETANYAHU
L’appoggio degli Usa allo Stato ebraico non è in discussione, sul piano economico e della difesa, ma il suo significato sì.
La prima dichiarazione della giornata ieri è arrivata dal consigliere di Obama Simas, che si è congratulato con Israele invece che con Netanyahu, e ha invitato ad aspettare «la formazione della coalizione governativa».
La speranza delusa
Alla vigilia la Casa Banca sperava che a guidarla sarebbe stato il laburista Herzog, e dopo che il suo vantaggio si era assottigliato nei sondaggi, aveva puntato quanto meno sul pareggio e sulla creazione di un esecutivo di unità nazionale. L’ex negoziatore Dennis Ross aveva anche teorizzato che Bibi avrebbe potuto approfittare di questa soluzione, per scaricare su Herzog la responsabilità delle scelte che lui aveva escluso in campagna elettorale, tipo bloccare gli insediamenti, riaprire i rubinetti delle entrate fiscali da girare all’Autorità palestinese, e riprendere il processo di pace.
I difficili rapporti
Ora questa ipotesi è sfumata, e l’amministrazione deve decidere come riallacciare i rapporti con un governo israeliano che sarà più spostato a destra e più determinato nell’ostacolare le sue politiche di quello precedente. Martin Indyk, ex ambasciatore Usa in Israele, prevede che non si andrà molto lontano perché per farlo serve l’interesse a lavorare insieme, che manca tanto sul negoziato con l’Iran, quanto sul dialogo con i palestinesi.
NETANYAHU E PERES ACCOLGONO OBAMA
Sull’Iran il neocon Elliot Abrams, ex membro della Casa Bianca di Bush e oggi studioso al Council on Foreign Relations, ha previsto due possibilità durante una conference call con i giornalisti: «Netanyahu può aspettare che l’amministrazione finisca e ne arrivi un’altra nel 2016, oppure può bombardare».
OBAMA ARRIVA IN ISRAELE ACCOLTO DA NETANYAHU
Nel frattempo può lavorare col Congresso repubblicano per bloccare qualunque intesa, scontrandosi con Obama già nel giro di qualche settimana. Altri, come Thomas Friedman del New York Times, dicono che il risultato sarà liberatorio per gli Usa, perché potranno smettere di perdere energie con l’inutile negoziato, mentre sul Washington Post Paul Waldman, ha scritto che il danno è di lungo termine: la maschera di Netanyahu è caduta, e il suo radicalismo ne fa un leader di fazione con cui non si può affrontare il futuro dell’intero paese. Washington dovrebbe anche razionare il veto con cui spesso lo protegge all’Onu. Abrams però la vede al contrario. Secondo lui anche i democratici considerano gli attriti come un problema personale di Obama, che svanirà quando lui non sarà più in carica.
obama con netanyahu e abbas jpeg
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