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Guido Santevecchi per il Corriere della Sera
Una grande cortina fumogena avvolge Xiao Jianhua, il finanziere dei potenti scomparso da Hong Kong (rapito dalla polizia cinese, secondo molte voci) la notte del 27 gennaio. Xiao, il 32° uomo più ricco della Cina con una fortuna di circa 6 miliardi di dollari, era circondato da una squadra di poliziotti agli ordini di Pechino quando è stato inquadrato dalle telecamere di sorveglianza del Four Seasons Hotel di Hong Kong dove viveva dal 2014. Il filmato mostra che non era ammanettato e che con lui c' erano anche due donne bodyguard della sua sicurezza privata; nessun segno di resistenza nella suite.
E ora il South China Morning Post , quotidiano in lingua inglese di Hong Kong recentemente acquistato da Jack Ma, cita fonti «bene informate» secondo le quali Xiao Jianhua è stato «persuaso» dagli agenti speciali a tornare in Cina dove «collabora con l' inchiesta sul crollo della Borsa di Shanghai del 2015» e sul caso del vice capo dei servizi segreti cinesi accusato di corruzione.
Però il 28 gennaio la famiglia aveva chiesto aiuto alle autorità di Hong Kong: la polizia della Repubblica popolare non ha (non avrebbe) il diritto di intervenire nella City autonoma. Oltretutto Xiao Jianhua avrebbe un passaporto canadese e uno diplomatico dello Stato di Antigua e Barbuda.
Xiao, 46 anni, è un esperto di alta finanza: il suo Tomorrow Group, basato a Pechino, ha seguito gli interessi di persone molto vicine al vertice del potere. Si dice che nel 2013 abbia aiutato il cognato e la sorella di Xi Jinping a cedere le loro partecipazioni azionarie quando il presidente stava lanciando la campagna anticorruzione e l' agenzia Bloomberg aveva pubblicato un' inchiesta molto imbarazzante sulla ricchezza delle famiglie dei mandarini comunisti.
Un uomo di successo, amico dei potentissimi. Uno che ha sempre fatto le scelte politicamente più accorte, fin da quando nel 1989 studiava alla prestigiosa Peking University e si segnalò nel movimento contrario alla protesta della Tienanmen, schierandosi con il governo. Insomma, un tipo «affidabile». Però qualcosa deve averlo spaventato se nel 2014 decise di andarsene a Hong Kong.
Quando si sono diffuse le voci sul suo «sequestro», sul sito del Tomorrow Group sono comparsi due messaggi a firma di Xiao. Il primo rassicurante: «Non mi hanno rapito e portato in Cina, sono all' estero per farmi curare, tornerò presto». Ma poi, quasi a chiedere aiuto: «Ho cittadinanza canadese, anche un passaporto di Antigua e residenza permanente a Hong Kong e non ho mai sostenuto alcuna forza o organizzazione di opposizione».
Opposizione a chi? Sembrano messaggi in codice. La famiglia ha ritirato la denuncia di scomparsa. I due post sono stati misteriosamente cancellati, mentre qualcuno ipotizza che il finanziere sia implicato nel gioco delle fazioni di Pechino che sfidano ancora Xi Jinping. Ma ieri un altro quotidiano di Hong Kong, filocinese, ha pubblicato una pagina a pagamento con le stesse dichiarazioni di Xia: «Non mi hanno rapito, sono all' estero, quello di Pechino è un governo civile che opera secondo lo Stato di diritto».
Però, gli accordi sottoscritti da Pechino con Londra prima della restituzione del territorio alla madrepatria nel 1997 prevedevano il mantenimento di un sistema giudiziario autonomo e il divieto di intervento a Hong Kong per la polizia cinese. Che invece può «persuadere» o «rapire» chi vuole.
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