
DAGOREPORT - COSA FRULLAVA NELLA TESTA TIRATA A LUCIDO DI ANDREA ORCEL QUANDO STAMATTINA…
Laura Cesaretti per Il Giornale
Matteo Renzi guarda al 25 maggio come al giro di boa del suo governo: nel bene o nel male, dopo le elezioni europee le cose cambieranno.
Il potere di veto di alleati come Ncd (che nei sondaggi risulta addirittura sotto il quorum del 4% necessario per entrare nel Parlamento di Strasburgo) potrebbe uscire drasticamente ridimensionato. E con un buon risultato del Pd, attorno alla soglia del 30%, le fronde interne che si danno un gran daffare per frenare il premier verrebbero messe a tacere.
Il progetto di «pax renziana» nel Pd ha già fatto passi avanti: ai suoi, Massimo D'Alema ha spiegato che «Renzi ha preso un impegno con me su un mio ruolo nella Ue, e non ho ragioni di dubitare che lo manterrà . Da me non gli verrà alcun problema». Certo, l'ex premier non ha cambiato opinione su Renzi, giudicato «un ragazzino» con poca «esperienza» di governo e troppa «arroganza di stampo craxiano». Ma fino alla partita delle nomine europee, la tregua su quel fronte è garantita.
Con il traguardo di maggio in testa, Renzi vuol portare a casa più risultati possibile, da giocarsi in campagna elettorale. Quindi i provvedimenti su lavoro, cuneo fiscale, scuola e casa; e ovviamente l'Italicum. All'inizio della prossima settimana la nuova legge elettorale verrà finalmente varata dalla Camera e la partita si sposterà a Palazzo Madama, dove gli ostacoli non mancheranno.
Innanzitutto sui tempi: Renzi vuole che la legge sia approvata prima del 25 maggio, ma gli oppositori già promettono battaglia. «Il premier non penserà mica che la terremo meno di un mese e mezzo in commissione Affari costituzionali», va dicendo il leghista Roberto Calderoli. Presidente della commissione, a Palazzo Madama, è Anna Finocchiaro, acerrima nemica interna di Renzi che già ha pubblicamente minacciato vasti rimaneggiamenti dell'Italicum.
E gran parte dei membri Pd sono di osservanza bersaniana o lettiana, quindi assai disponibili a dare del filo da torcere al leader Pd. Senza contate che i numeri del Pd e di Forza Italia al Senato sono assai risicati, e quindi i partitini hanno più potere di interdizione, e che non c'è il contingentamento dei tempi. Ma il premier non è particolarmente preoccupato dal fronte interno: al Senato non c'è l'arma di ricatto del voto segreto, con cui la minoranza Pd ha ostacolato il disegno renziano.
Gli oppositori dovrebbero venire allo scoperto, e difficilmente lo faranno. «Con il voto palese, il gruppo Pd resterà compatto: passeranno solo le modifiche concordate tra noi e Forza Italia», prevede il senatore dei «giovani turchi» Stefano Esposito. Che non vede grandi spazi neppure per la battaglia sull'introduzione delle preferenze, evitata a Montecitorio per una manciata di voti: «Io, che pure sono uno strenuo sostenitore delle preferenze, dico che piuttosto che introdurle come si è tentato di fare alla Camera è meglio bocciarle: con il sistema di riparto nazionale dell'Italicum c'è il rischio di restar fuori anche se ne prendi tante». La previsione che fanno in molti è che non ci saranno barricate sull'Italicum, perché il vero terreno di battaglia sarà la riforma del Senato. Sulla quale il governo ancora tiene le carte coperte.
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