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L’UE HA UN’ARMA PER FERMARE LA FURIA OMICIDA DI “BIBI”: METTENDOGLI LE MANI NEI PORTAFOGLI – PER IL “WASHINGTON POST”, SE L’UNIONE EUROPEA DECIDESSE DI RIVEDERE GLI ACCORDI COMMERCIALI CON ISRAELE, LO STATO EBRAICO RISCHIEREBBE UN TERZO DEL SUO COMMERCO - NUOVI DAZI POTREBBERO ESSERE APPROVATI A MAGGIORANZA QUALIFICATA: CON IL VOTO, CIOÈ, DI 15 STATI MEMBRI SU 27 CHE OSPITINO COMPLESSIVAMENTE ALMENO IL 65 PER CENTO DELLA POPOLAZIONE DELL’UNIONE, ANCHE SE UNO STOP COMPLETO È QUASI IMPOSSIBILE VISTO CHE…

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Estratto dell’articolo di Anna Lombardi per “la Repubblica”

https://www.repubblica.it/esteri/2025/05/25/news/accordi_partenariato_israele_europa_conseguenze-424627353/

 

benjamin netanyahu

Diciannove mesi di sanguinosissima guerra e l’avvio dell’Operazione “Carri di Gedeone”, una settimana fa, col suo piano di sfollamento forzato della popolazione di Gaza in aree controllate dall’esercito verso il sud della Striscia, ha spinto alcuni dei più stretti alleati di Israele a prendere posizioni fino a poco tempo fa considerate impensabili.

 

La Gran Bretagna ha deciso di sospendere le discussioni su un nuovo patto commerciale. Canada e Francia hanno minacciato sanzioni. E anche l’Unione europea ha lanciato su richiesta olandese una procedura di revisione dell’accordo risalente al 2000 che copre varie forme di cooperazione: compresa la libera circolazione delle merci e la collaborazione scientifica.

 

Lo scopo è verificare se Israele ne abbia violato l’articolo 2: dove si dice che le relazioni bilaterali sono basate «sul rispetto di diritti umani e principi democratici». Una decisione presa a maggioranza, anche se non c’è stato un voto specifico ma solo una consultazione orale (dove l’Italia si è espressa contro insieme ad altri 8 paesi).

 

proteste contro netanyahu in israele

[…] Ma se sanzioni minacciate e revisioni di accordi venissero applicate: quale sarebbe l’impatto? Se lo è chiesto il Washington Post che ha provato a fare dei calcoli: rilevando un potenziale decisamente massiccio. Soprattutto se a cambiare gli accordi fosse l’Unione europea, principale partner commerciale d’Israele nel mondo (mentre non è vero il contrario: per la Ue, il Paese mediorientale è appena il 31esimo). Oltre un terzo del commercio totale israeliano avviene con l’Unione: un giro d’affari da 42,6 miliardi di euro (importiamo per 15.9 miliardi — soprattutto circuiti elettronici integrati e frutta fresca e secca. Ed esportiamo per un valore di 26.7 miliardi).

 

Insomma: se l’Europa decide a rischio sarebbe il 28,8 per cento delle esportazioni e il 32 delle importazioni dello Stato ebraico. Che contando anche l’impatto di Gran Bretagna e Canada, salirebbe rispettivamente al 31 e al 37 per cento.  

Benjamin Netanyahu

 

[…] Volendo, nuovi dazi potrebbero essere approvati a maggioranza qualificata: con il voto, cioè, di 15 stati membri su 27 che ospitino complessivamente almeno il 65 per cento della popolazione totale dell’Unione. Mentre sospendere l’accordo è molto più complicato: servirebbe, infatti, una unanimità che non c’è e non ci sarà (basti pensare alla posizione dell’Ungheria).

 

Per ora, Israele ignora le minacce degli alleati occidentali: «Le pressioni esterne non ci distoglieranno dal percorso di lotta per la nostra esistenza e sicurezza » ha tuonato il ministro della Difesa Israel Katz. Una determinazione ad andare avanti, nota Cnn , radicata soprattutto nel sostegno, anche di partenariato commerciale, degli Stati Uniti.

benjamin netanyahu

 

Ciò non toglie che una ritoccatina ai patti commerciali assesterebbe un colpo doloroso a Netanyahu. Porterebbe a tasse doganali più alte sui prodotti israeliani. E impedirebbe la partecipazione ad ambiti programmi come Horizon Europe, con finanziamenti a ricerca e innovazione da miliardi di euro.

benjamin netanyahu