meryl streep come donald trump

PRIMARIE FATTE A MAGLIE - LA NOTIZIA PIÙ COOL È MERYL STREEP VESTITA DA DONALD TRUMP A TEATRO - HILLARY HA LA MAGGIORANZA MA ASPETTA IL NEW JERSEY PER FARE IL GRANDE ANNUNCIO: VUOLE FARE IL PIENO DI DELEGATI ''VERI'' PER NON SUBIRE L'ATTACCO DI SANDERS CHE VINCE SOLO GRAZIE AI CACICCHI DI PARTITO. E SE PERDE IN CALIFORNIA, SI RIAFFACCIA IL RISCHIO-RIBALTONE (BIDEN)

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Maria Giovanna Maglie per Dagospia

 

La notizia più cool del giorno, almeno finora? Che Meryl Streep, democratica sfegatata, in recita a Central Park a New York di Kiss me Kate, musical storico di Cole Porter, si è vestita da Donald Trump, capello arancione, faccia color cuoio, giacca aperta e una gran pancia sotto la camicia.

 

MERYL STREEP COME DONALD TRUMP
MERYL STREEP COME DONALD TRUMP

Nel musical la coppia scoppiata di attori deve recitare ancora insieme nientemeno che la Bisbetica Domata, e a un certo punto arriva la canzone “Brush up your Shakespeare”, cantata da due gangster creditori del protagonista. Meryl fa un gangster, da par sua, ma anche a dimostrare che l'élite americana questo Trump ce l'ha come ossessione nei peggiori incubi.

 

L'altro ieri sul New York Times Frank Bruni, quello che ha coniato il termine Trumpusconi, uno che si sente un grande esperto di politica estera, ma a parte due anni, 2002-2004, su una terrazza romana a parlar male di Berlusconi, ha essenzialmente fatto il critico di ristoranti, ora scrive che l'Italia si sentirebbe sollevata dopo anni di umiliazione e di sarcasmi, perché il nano del circo tocca agli americani. Vabbè.

 

MERYL STREEP COME DONALD TRUMP
MERYL STREEP COME DONALD TRUMP

It's a long day fino alla California e all'ultima delle primarie di questo fantastico incredibile 2016 della politica, quella americana intendo. La notizia sparata da AP che Hillary ha il numero sufficiente di delegati per la nomination alla convention democratica è la classica non notizia, e non solo perché era matematico che con il voto di Portorico sarebbe arrivata alla fatidica soglia di 2383 , ma ci vogliono ancora sei Stati e i relativi voti, 813, per poter dire che la candidatura è la numero 1 anche senza la rissa sui delegati vip, i nominati dal partito, che sono finora in massa con lei e che l'avversario Bernie Sanders intende contestare.

 

Perciò Hillary Clinton aspetta perlomeno il New Jersey per fare da Brooklyn il grande annuncio, e non è detto che non li aspetti tutti e sei gli Stati, con l'incognita della California, che si svelerà nella mattinata di domani per noi, visto che ci sono nove ore di fuso orario., e visto che i sondaggi sono di un sostanziale pareggio con il terribile Bernie.

 

bernie  sanders hillary clintonbernie sanders hillary clinton

Si vota in Montana, New Mexico, California, New Jersey, South Dakota, i democratici anche in North Dakota. Basta il New Jersey alla Clinton per proclamarsi vincitrice anche con il solo voto popolare, quello degli elettori, ma ci siamo detti fino alla noia che il problema non è nei numeri, e nemmeno nella contestazione dei criteri, pur forte, che Sanders intende portare alla convention, mettendo in discussione la libertà assoluta dei delegati vip, che lui vorrebbe vincolati alla decisione popolare Stato per Stato (criterio condivisibile, ma allora tanto varrebbe eliminarli), e i tempi rigidi di registrazione al voto, che hanno impedito a convertiti dell'ultima ora di esprimersi alle primarie. E' ben altro, Sanders vuole forzare il programma politico, da moderato a progressista, o socialista, come lo chiama lui.

 

hillary clinton  bernie sandershillary clinton bernie sanders

Vuole trasformare la convention di Filadelfia in una discussione tanto concitata ed estrema da trasformare il nominato Clinton in un eventuale presidente debole e costretto a contrattare sui ministri del suo cabinet e sul programma futuro della Casa Bianca. Scusate se è poco, e dal risultato della California potrebbe addirittura dipendere un ribaltone strepitoso, con la scelta a candidato di Joe Biden, attuale vice presidente.

 

Sarà per correttezza istituzionale che Barack Obama non ha ancora reso noto il suo endorsement a Hillary Clinton come possibile successore, o sarà perché tutti stanno aspettando l'incubo possibile dalla California. La Clinton ha perso già in 20 Stati , alcuni dei quali importanti, ma proclamarsi vincitrice con una mazzata tra Beverly Hills, Silycon Valley e san Diego, dove tra divi, multinazionali e latinos sono sulla carta tutti suoi, sarebbe brutto brutto.

 

Dall'altra parte Donald Trump corre senza rivali ma deve vincerla la California per aumentare il numero già vincente di delegati e per trovare finanziatori forti di conseguenza per i prossimi mesi di campagna. Dal 1988 un candidato repubblicano non vince in quello Stato e ci abita un bel 40 per cento di ispanici, i quali in questi giorni hanno inscenato manifestazioni.

donald trumpdonald trump

 

Il partito repubblicano aveva invitato il candidato a cambiare toni, lui ha tirato dritto, i suoi conti sono su scala nazionale, forse sono giusti forse no, fatto sta che ha attaccato il giudice di origine messicana, Gonzalo Curiel, che si occupa di un processo contro la Trump University, chiedendogli di ritirarsi per evidente conflitto di interessi. Trump ha chiuso la campagna accanto a un sostenitore speciale, Arnold Schwarzenegger. Il Terminator la cui controversa elezione a governatore nel 2003 ha tanti punti in comune con la storia di quest'anno.

 

obama trumpobama trump

Dell'austriaco, poi rieletto nonostante scandali sessuali, amatissimo come governatore dai californiani, tanto che solo l'essere nato in Austria gli ha sbarrato la strada alla presidenza, si rideva tra i liberal americani e i pensosi opinionisti nostrani. Come allora la combinazione felice la notorietà con la scorrettezza politica, come allora si minaccia di far saltare il sistema, quello californiano era soffocato dalla corruzione, lo Stato in bancarotta da “tax and spend” democratico. Il vertice del partito non tollerava l'uno e ora mal sopporta l'altro.

 

JOE BIDENJOE BIDEN

Il Wall Street Journal qualche tempo fa ha acutamente scritto delle varie sfaccettature del populismo: conservatore e solare quello di Ronald Reagan, liberal e arrabbiato quello di Bernie Sanders, una via di mezzo quello di Arnold the Terminator e ora di Donald the Trump, per concludere che l'unico che abbia davvero funzionato sia stato quello di Ronnie. Ma anche il termine populista è abusato nel mondo come pochi altri. Domattina sapremo se Hillary ha sfondato il suo glass ceiling, prima donna candidato nominato a presidente degli Stati Uniti.