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Pierangelo Sapegno per "La Stampa"
«Chi pensa che io abbia deciso di non andare a votare alle primarie per ripicca verso il Pd dopo il voto sul Quirinale, non mi conosce bene e non sa quel che dice». Nella sua domenica dall'antico sapore casalingo, di rientro dalle lezioni alla Brown University, negli Stati Uniti e dai viaggi in Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad, nelle missioni coordinate dalle Nazioni Unite, Romano Prodi ha trovato il tempo di sfogarsi.
In fondo, oggi, che cosa unisce ancora il professore e il Pd? Non sono pochi quelli che lo vedono in futuro come segretario dell'Onu. E le Nazioni Unite gli hanno appena rinnovato per la terza volta il suo prestigioso incarico, senza che i giornali della sinistra avessero dato molto spazio alla notizia. Ã facile pensare che Prodi accetterebbe volentieri quella poltrona.
E per quel che riguarda invece quel partito che lui ha contribuito a fondare, il professore continua a credere che «sia molto utile la creazione di una nuova leva. Io credo nell'esempio. Chi si toglie dai piedi, si toglie dai piedi». «I partiti sono essenziali, ma lo è anche il loro rinnovamento».
Non è molto distante dalle idee di Arturo Parisi, a cui lo lega non solo un'antica amicizia. E anche se non lo dice, è facile pensare che si sia pure avvicinato alle sue posizioni renziane (mentre alle scorse primarie raccontano che avesse votato per Bersani).
Nell'entourage del sindaco di Firenze, si sono molto preoccupati per l'uscita del professore, perché rischia di delegittimare in qualche modo l'istituto delle primarie. E ieri Renzi e il professore si sono scambiati un mucchio di sms per chiarirsi. A differenza di Parisi, però, Prodi si è allontanato dal partito non da ieri, quando non ha più rinnovato la tessera e ha dichiarato a Telereggio che non sarebbe andato a votare alle primarie: nel 2013, per il primo anno nella storia della sinistra dall'Ulivo in poi, Romano Prodi non è andato a nessuna festa del pd e dell'Unità , e soltanto in una occasione s'è presentato a sorpresa sul palco, in piazza Duomo, il 17 febbraio, per sostenere Umberto Ambrosoli.
Probabile che l'avesse fatto solo per lui. à stata l'ultima volta. Ha visto Enrico Letta quasi per caso, a Vico Equense, al matrimonio di Ludovica Leone e Massimo Bergami, un suo pupillo, direttore dell'Alma School dell'Università di Bologna: era il suo testimone, era obbligato ad andarci, e si è pure commosso. Per il resto è sempre stato lontano da tutto e da tutti: «non voglio partecipare alla battaglia congressuale perché non mi sembra giusto». Lontano ormai da questa sinistra e lontano dalle larghe intese.
Come ha già spiegato la sua ex portavoce Sandra Zampa, che ha scritto anche un libro sui tre giorni che sconvolsero la storia della sinistra italiana, il Grande Freddo sarebbe sceso in realtà un po' prima di quella data. Il 13 aprile, dice lei, quando Berlusconi alla Fiera del Levante a Bari minacciò il mondo se qualcuno avesse anche solo pensato di candidare Prodi alla presidenza della Repubblica. Nessuno del Pd disse una parola in sua difesa. E quel silenzio ha pesato più di un macigno nei rapporti già non sempre idilliaci fra il partito e il professore. Ma forse è altrettanto vero che la rottura potrebbe essere cominciata pure prima, quando per ben due volte i suoi alleati affossarono o indebolirono irrimediabilmente i suoi governi.
Per avvicinare il partito ai suoi elettori, Prodi ha sempre pensato di ripetere una proposta che fece a De Mita ai tempi della crisi della dc: «Costituire in ogni regione un partito regionale dotato di ampia autonomia, ma obbligatoriamente federato a quello nazionale e legato alle sue decisioni sui temi politici di maggior rilevanza. E i delegati inviati al Congresso devono essere scelti esclusivamente in proporzione dei voti riportati alle ultime elezioni e non dei tesserati al Partito». Forse, si sarebbe evitato l'ultimo scandalo in cui è affogato il Pd.
Ma la sua non è solo la lontananza del Vecchio Saggio. à qualcosa di molto più profondo dei 101 traditori, - che secondo lui sarebbero pure assai più numerosi: «più di 120» -, o dello scandalo sui rimborsi spese in Emilia Romagna, che l'ha comunque amareggiato moltissimo. Non gli vanno le larghe intese, ma è probabile che non gli vada neppure la politica di questo governo, ancora troppo appiattita sulla Germania. Come ha sempre ripetuto lui, «la lotta per mettere a posto i conti non si può fare in recessione, ma dev'essere accompagnata dalla crescita e dallo sviluppo. La Germania è ossessionata dall'inflazione come gli adolescenti dal sesso. Non capiscono che invece oggi il problema è la deflazione, come io dico da un anno».
La sua proposta di creare «un'intesa Italia-Francia-Spagna in funzione contenitiva» della Germania, ha avuto un mucchio di reazioni da tutte le parti. A Palazzo Chigi, però, non devono averla presa troppo in considerazione.
Non importa. Nella sua marcia di allontanamento, Prodi non si porta dietro molti rimpianti. Come dice lui, «chi si toglie dai piedi, si toglie dai piedi». Lui l'ha fatto. Poi vediamo, alla fine, chi ci perde e chi ci guadagna.
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