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QUIRINALOTTO - LA CORSA AL QUIRINALE SEMBRA RISVEGLIARE PURE IL VECCHIO CAMPANILISMO D’ANTAN – A QUALE REGIONE ANDRA’ IL BIGLIETTO CON IL NOME VINCENTE DEL PROSSIMO PRESIDENTE? – FINORA VINCONO IL PIEMONTE (EINAUDI, SARAGAT, SCALFARO) E LA CAMPANIA (DE NICOLA, LEONE E NAPOLITANO)

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Tina A. Commotrix per Dagospia

 

SCALFARO NEL MENU' EATALYSCALFARO NEL MENU' EATALY

Nel Bel paese dei governi regionali e dei federalismi immaginari c’è anche l’incognita su quale campanile sventolerà il pennone presidenziale annunciante la vittoria del proprio candidato-cittadino. Anche se da Pier Capponi ai tempi nostri: “Voi sonerete le vostre trombe, e noi soneremo le nostre campane”, ormai il fenomeno municipalistico riguarda soprattutto il nostro passato (remoto).

 

Il campanilismo fa parte ormai della aneddotica popolare e di qualche reminescenza scolastica (o televisiva), degli anni Cinquanta. E pure le stracittadine calcistiche in malaugurati tempi di ultras si combattono a mazzate&coltellate nelle strade e non a colpi d’ombrello nelle tribune degli stadi d’antan.

 

BEPPE GRILLO SANDRO PERTINI ANTONIO RICCI BEPPE GRILLO SANDRO PERTINI ANTONIO RICCI

Come non ricordare, allora, a proposito del piccolo schermo, il quiz del giovedì, “Campanile sera”? E’ stato uno dei primissimi programmi nazional-popolari.A condurlo c’era Mike Bongiorno, in coppia con Renato Tagliani, sostituto poi con la mitologica Enza Sampò e a seguire il compunto (e compianto) Enzo Tortora.

 

Già. Era l’Italia in bianco-nero di Ettore Bernabei e dei governi centristi a guida democristiana.

GIOVANNI LEONE CON MOGLIE E FIGLI GIOVANNI LEONE CON MOGLIE E FIGLI

“La vita di provincia è, si può dire, la vita italiana”, poteva osservare lo scrittore Giuseppe Prezzolini.

 “Se si tratta della solita Toscanina, fate voi, che io non c’entro. Se, invece, si tratta di fare l’Italia grande, eccomi qua, potete contare su di me”, metteva le mani avanti il futuro primo ministro del Regno, il ribaldo Bettino Ricasoli.

 

E al “barone di ferro” sembra ispirarsi - con la consueta modestia - pure lo statista tosco di Rignano sull’Arno, Matteo Renzi.

Oggi, però, nessuno si sente “avvinto all’edera”, come cantava Nilla Pizzi a Sanremo. Vale a dire, alle tradizioni forti e all’idioma del proprio territorio.

 

ENRICO DE NICOLA ENRICO DE NICOLA

Così, a parte i reduci della Lega di Umberto Bossi, che dell’immaginaria Padania volevano fare una sorta di San Marino longobarda con capitale il “sacro suolo” di Pontida. All’ultimo sparuto raduno scissionista del Carroccio, però, i suoi avversari, beffardamente, irridevano i nuovi crociati distribuendo profane “bolle” di sapone.

 

Un rito che dal 1990 in avanti non è stato nemmeno di buon auspicio per la Lombardia intera. Negli ultimi sessantasette anni Milano e dintorni non sono mai riusciti a “piazzare” un loro fioeu lumbard sul trono quirinalizio. E neppure la Serenissima Liga veneta, che schierava i suoi carri armati-fantoccio in piazza San Marco - in nome della sospirata indipendenza - ha avuto l’onore (o il contentino) di un presidente-doge.

ricevimento quirinale due giugno sessantanove con pertini saragat fanfani bucciarelli ducci ricevimento quirinale due giugno sessantanove con pertini saragat fanfani bucciarelli ducci

 

Finora la parte del leone l’hanno fatta il Piemonte e la Campania, che hanno eletto ben tre loro corregionali sul Colle più alto. Nella geografia quirinalizia seguono Sardegna e Toscana (due presidenti) e la Liguria (uno).

 

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Il primo (il reggente Enrico De Nicola, nato a Torre del Greco) e l’ultimo (Giorgio Napolitano I e II, di nome e, di fatto) sono entrambi capi di Stato figli dell’antica Campania felix. Napoletano verace è pure Giovanni Leone, eletto nel 1971 con i voti determinanti del Msi di Almirante, ma costretto a dimettersi sei mesi prima della fine del suo mandato (giugno 1978) dopo l’assassinio di Aldo Moro. E soprattutto per effetto del presunto scandalo delle tangenti Lockheed. Pochi ricordano, invece, che fu Leone, su proposta del governo, a nominare un giovane Silvio Berlusconi Cavaliere del lavoro.

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Luigi Einaudi (Carrù), Giuseppe Saragat (Torino) e Oscar Luigi Scalfaro (Novara) compongono il terzetto presidenziale del Piemonte ex sabaudo. Mentre la Sardegna, o meglio la città di Sassari, è la patria dei due e capi di Stato più contestati durante il loro settennato corto.

 

Antonio Segni fu accusato di aver brigato con i golpisti del generale-Sifar, Giovanni de Lorenzo. Dell’amato Gattosardo tutti ricordano la campagna (fallita miseramente con la ritirata dei promotori), animata dall’allora dirigenza del Pci - e nelle strade dagli extraparlamentari bombaroli - per chiederne l’impeachment davanti a un Parlamento tribunizio.

 

giovanni gronchi moglie fi maria cecilia 1955 lapgiovanni gronchi moglie fi maria cecilia 1955 lap

A dare ascolto ai costituzionalisti seri, la correttezza istituzionale del Picconatore non è stata mai in discussione. Soprattutto il suo operato fosse paragonato ai “debordamenti” alla Carta (e tanto altro fuori dal cosiddetto esercizio di garanzia del presidente) dei suoi successori prossimi: Scalfaro e Napolitano.

 

Se fossero riunificate, come ai tempi dell’annessione dei Savoia (1718), l’antico Regno di Sardegna-Piemonte nell’immaginario campanilistico avrebbe dato alla patria ben 5 presidenti della Repubblica. Il papà del torinese Giuseppe Saragat, l’avvocato Pietro Saragatu, tra l’altro era nato anche lui a Sassari prima di trasferirsi a Torino presso le autorità monarchiche.

 

giuliano amato anna finocchiarogiuliano amato anna finocchiaro

La sponda tirrenica dello Stivale è stata davvero munifica nel regalare altri tre capi di Stato: Sandro Pertini (Liguria); Giovanni Gronchi (Pontedera) e Carlo Azeglio Ciampi (Livorno).

 

Il mar Adriatico è ancora “a secco”.

Alla pari dell’altra isola autonomista, la Sicilia che adesso annovera tre pretendenti al Colle più alto: l’ex diccì, Sergio Mattarella (Palermo), Anna Finocchiaro del Pd (Modica), Antonio Martino (Messina) e l’attuale presidente del Senato, Pietro Grasso (Licata). Mentre l’Emilia Romagna manda in campo addirittura una pattuglia di cinque papabili: Romano Prodi (Scandiano), Dario Franceschini (Ferrara), Pier Luigi Castagnetti (Reggio Emilia), Pier Luigi Bersani (Bettola) e Pierferdinando Casini (Bologna). Lazio e Lombardia, che ancora non hanno conosciuto la gioia di partorire un presidente della Repubblica, restano in gara con due outsiders. Walter Veltroni (Roma) ed Elena Cattaneo (Milano).

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“Arlecchino, Pinocchio e Pulcinella sono l’Italia del popolo, che si rappresenta e si denigra e si riscatta… Un’Italia del passato, ma che si può riconoscere oggi dovunque”, garantisce lo scrittore Raffaele La Capria.