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da www.dailymail.co.uk
Era un bella vita quella di Saadi Gheddafi, terzo figlio dell'infame dittatore libico. Mentre gli altri bambini era costretti a guardare esecuzioni pubbliche per imparare cosa succedeva a chi si opponeva al regime, lui poteva giocare tranquillo con le sue mini-moto. Aveva accesso al bunker di suo padre, girava fra corridoi sotterranei, il cinema e misteriose sale che contenevano orrori.
Saadi sognava di fare il calciatore ed ecco che papà trova per lui un posto nella squadra tripolitana Al Ahli. L'unico con il nome scritto sulla maglietta. Non era un talento eppure divenne capitano della nazionale libica. Gli arbitri, su minaccia di morte, lo privilegiavano e nessuno poteva criticare le sue performance in campo. Per implementare la sua carriera calcistica fu chiamato ad allenarlo Diego Maradona, poi Ben Johnson.
Con la maglia del Perugia ha giocato una sola partita, poi è risultato positivo al controllo antidoping. Di quell'unico match si scrisse in Italia: «Il peggior giocatore mai visto in campo». Tra i 20 e i 30 anni si è dedicato alla droga, a orge, a guida in stato di ebbrezza su Bugatti e Ferrari.
La bella vita è finita. Lunedì Saadi va a processo e rischia una sentenza a morte per aver preso parte alle atrocità del regime. Quando suo padre Muammar fu ucciso nel 2011, lui tentò di scappare su un jet in Venezuela, poi fuggì in Nigeria, che lo restituì alla Libia un mese dopo. I suoi carcerieri oggi sono quelli che si ribellarono a suo padre, lo torturarono e gli spararono in testa.
Saadi è un vanitoso, capelli lunghi sempre curati, così la prima cosa che i ribelli hanno fatto, è stato rasarlo e mettergli la divisa blu da carcerato. Solo ora che è in galera uno dei suoi più cari amici rivela la dissolutezza e la depravazione del calciatore. Saadi non esitava a picchiare chiunque gli rivolgesse uno sguardo sbagliato.
Le rivelazioni arrivano da Reda Thawargi, un calciatore cresciuto in povertà non lontano dal palazzo reale. Incontrò Saadi 15 anni fa, parlarono di calcio e Saadi decise che il ragazzo doveva essere ufficialmente il suo migliore amico. All'inizio Reda fu lusingato, non sapendo che stava per vivere un incubo.
La prima cosa che Saadi fece, fu ordinare a Reda di lasciare il calcio, a cui aveva dedicato la vita. Racconta: «Se dicevo che volevo giocare, lui rispondeva che che avevo giocato troppo. Voleva che lo accompagnassi in giro per il mondo, nei viaggi, a fare shopping. Spendeva almeno 7000 euro al giorno e reclutava sempre ragazze per la notte. Al ristorante pagava anche 40.000 euro per un pasto. Dormire poteva costare 300.000 euro al mese».
Saadi pagava celebrità internazionali per le sue feste, tipo Nicole Kidnman e Beyoncé, ma doveva dare i soldi in anticipo. Era cocainomane e beveva forte. Aveva relazioni sessuali anche con uomini. Continua Reda: «Gli piacevano gli uomini. Guardava DVD di gay che giocavano a calcio e invitava i più belli». Reda si allontanò dal figlio del dittatore quando gli chiese di "riscaldarlo" prima di fare sesso con una ragazza: «Voleva che lo baciassi e facessi altre cose. Mi rifiutai, gli dissi di farsi scaldare dalla ragazza».
Reda fu allora messo in prigione, con l'accusa di aver rubato soldi al figlio del dittatore. Rimase in cella fino alla fine del regime Gheddafi.
In Libia Saadi viveva in una tenuta sulla spiaggia, controllata da guardie e cani pronti a sbranare qualsiasi intruso. Nella fortezza c'era un campo da calcio, una discoteca all'aperto, una piscina, tre celle e una gabbia dove buttava in pasto ai cani chi non lo assecondava. La sua bisessualità fece infuriare il padre, che lo costrinse a sposare la figlia di un comandante militare. Ma anche Muammar era bisessuale, con preferenza per i bambini. Era un sadico, un deviato che guardava film porno prima di stuprare le sue vittime. Oggi è morto e sepolto e non potrà salvare suo figlio Saadi dal processo.
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