DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Fabio Martini per "la Stampa"
La cruenta disfida che sta dilaniando i partiti della maggioranza quasi certamente sarà raffreddata questa mattina in una delle sale del delizioso palazzo Spada, barocca sede del Consiglio di Stato: se sarà accolto (ed è probabile) il ricorso della Regione Lazio contro una decisione del Tar del Lazio, a quel punto - per effetto di una serie di rimbalzi giuridici - il governo potrebbe avere buon gioco ad indire l'election day, unificando in un solo giorno le elezioni regionali (anticipate) in Lombardia, Lazio, Molise e quelle (a scadenza naturale) per il rinnovo del Parlamento.
E dunque, se dovesse rivelarsi fondato l'insistente tam-tam sul Consiglio di Stato e sulle conseguenti determinazioni del governo, finirebbero per essere ridimensionate le fiammeggianti proteste del Pdl e dell'Udc e invece frustrate le aspettative del Pd, che da due giorni ha appoggiato senza riserve la decisione del ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri di separare le tre Regionali in Lombardia, Lazio e Molise dalle elezioni Politiche.
Strada aperta verso l'election day, ma in quale day? E qui le cose si complicano assai. Nelle ultime 48 ore sulla giostra delle date si stanno giocando tre partite intricatissime: quella dentro il Pdl, quella tra Pd e Pdl, quella tra Quirinale e palazzo Chigi. Proprio ieri, dentro il Pdl, si è consumata una violentissima, seppur sorda, diatriba tra Silvio Berlusconi e Angelino Alfano.
Il primo chiede a tutti i costi «elezioni a febbraio», col retropensiero che una scadenza così ravvicinata cancellerebbe l'appuntamento con le Primarie che il Cavaliere vede come una sciagura. Tanto è vero che ieri, chi è andato a batter cassa per le Primarie, si è sentito rispondere: «Io non caccio un quattrino». E quanto ad Alfano, per ragioni opposte, la data preferita per le Politiche sarebbe il 17 marzo.
Ma la data delle elezioni la decide il Capo dello Stato. Dal Quirinale filtra la conferma di un itinerario che il Presidente intende seguire, almeno a fino a prova contraria: il punto fermo è costituito da elezioni Politiche da svolgere il 7-8 aprile, dunque a scadenza naturale.
Il Capo dello Stato ha una forte preferenza per la prima domenica di aprile essenzialmente per due motivi: una anticipazione «tecnica» a marzo finirebbe per determinare quasi certamente uno spiacevole sdoppiamento nella procedura della formazione del governo: Napolitano dovrebbe affidare l'incarico per la formazione del nuovo governo, che poi potrebbe essere chiamato a giurare nelle mani del nuovo Presidente.
Ma c'è un'altra ragione che fa pendere la bilancia verso il 7 aprile: Giorgio Napolitano non ha alcuna intenzione di dare spazio alle dietrologie di chi immagina che un eventuale anticipo sarebbe da lui gradito per poter influenzare la formazione del nuovo governo.
Certo, se i partiti fossero capaci di approvare nel giro di poche settimane sulla riforma elettorale, il Capo dello Stato potrebbe prendere in esame l'idea di votare il 10 o il 17 marzo, in questo caso si potrebbero persino ipotizzare dimissioni anticipate del Capo dello Stato per evitare l'ingorgo. Ma i partiti riusciranno ad uno sprint sulla legge elettorale? Ieri sera il presidente del Consiglio, dopo aver sentito i leader della maggioranza, è salito al Quirinale per provare a sbrogliare la matassa.
Un incontro servito anche a dissipare l'indiscrezione secondo la quale la decisione del ministro dell'Interno di separare le tre Regionali dalla Politiche sarebbe stata presa con l'avallo del Capo dello Stato, quasi a prescindere dall'opinione di Monti. Vera, o infondata che sia la voce, tre giorni fa il ministro Cancellieri si è mossa tra solidi paletti giuridici: «C'è una sentenza della Corte Costituzionale che impone di indire elezioni entro 90 giorni dallo scioglimento», «un parere dell'Avvocatura dello Stato ci ha informato che avremmo dovuto immediatamente adeguarci» e infine «siamo stati spiazzati dal Tar del Lazio secondo il quale la consultazione andava fissata entro 5 giorni». Se il Consiglio di Stato dovesse cancellare quanto deciso dal Tar, il governo potrebbe tornare elegantemente indietro, «appoggiandosi» al Consiglio di Stato.
GIORGIO NAPOLITANO E MARIO MONTIMonti NapolitanoRENATA POLVERINI ALFANO E CASINIPIERLUIGI BERSANITribunale amministrativo Regionale del Lazio
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