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Giuseppe Sarcina per il “Corriere della Sera”
La risposta più pronta e forse quella più a tono è stata la sua. L' enormità di Donald Trump («Stop all' ingresso dei musulmani negli Stati Uniti») ha tramortito per qualche ora il sistema politico americano. Ma già lunedì sera, subito dopo le parole del miliardario candidato alla presidenza, Huma Abedin, 39 anni, vice presidente del comitato elettorale di Hillary Clinton, prova a capovolgere lo schema. Fin qui «l'uno contro tutti» di Trump ha funzionato, come dimostrano i sondaggi.
Il linguaggio crudo non è altro che spontaneità, verità delle cose. Le risposte ortodosse degli altri, dal presidente Barack Obama in giù, solo ipocrisia, lontananza dalla realtà. Con una mail diffusa a tappeto, Huma Abedin accetta lo scontro frontale. «Sono orgogliosa di essere musulmana - scrive - ma non c' è bisogno di condividere la mia fede per condividere il mio disgusto. Trump vuole scrivere la parola razzismo nelle nostre leggi. Unitevi a Hillary per costruire tutti insieme un Paese più forte, più giusto, più inclusivo».
Come dire: a questo punto definiamo gli schieramenti, razzisti e anti-razzisti; contiamoci e vediamo chi ha davvero la maggioranza nel Paese. Il tempo dirà se la mossa della consigliera più ascoltata di Hillary sarà irrilevante o se, invece, mostrerà qual è la strada per togliere l'iniziativa a Trump, per non dover sempre agire di rimessa.
Da mesi Abedin e il resto dello staff lavorano per trasmettere all' opinione pubblica l'immagine di una candidata ora razionale, ora materna, ma comunque competente. Tutto ciò non basta più, è il messaggio implicito nella mail di Huma Abedin. La corsa di Hillary 2016 rischia di trasformarsi in un fallimento ancora più bruciante della sconfitta contro Barack Obama nel 2008.
huma abedin anthony weiner hillary e bill clinton
Se è il momento di Trump, allora è anche il momento di Huma Abedin. Nata a Kalamazoo, nel Michigan, figlia di immigrati, cresciuta a Gedda, in Arabia Saudita, poi tornata negli Stati Uniti e laureata nella George Washington University, Huma è un ottimo esempio di quanto sia matura la modernizzazione della comunità musulmana statunitense.
Certo Abedin appartiene all' élite intellettuale di quel mondo: suo padre, Syed Zainul Abedin, era un professore indiano di letteratura inglese; sua madre, Saleha Mahmood, è una sociologa pakistana che oggi insegna a Gedda. La stessa Huma si proietta, ancora studentessa, nel giro dei Clinton, diventando nel 1996 una delle assistenti di Hillary, all'epoca first lady alla Casa Bianca. Ne diventa l' ombra. Al Senato, nelle primarie del 2008, al Dipartimento di Stato. «Se avessi una seconda figlia, questa sarebbe Huma», ebbe a dire la candidata democratica.
«Spesso Hillary è confusa», confidò, invece, in una mail Huma. Sono i sentimenti e le piccole insofferenze di un lungo e profondo rapporto. Trump si scaglia contro i musulmani d' America, prendendo spunto dalla vita di Tashfeen Malik, la killer della strage di San Bernardino, giovane immigrata pakistana, con un lungo passaggio in Arabia Saudita. Huma Abedin contrappone se stessa come modello di piena compatibilità tra fede musulmana e identità americana. Così spinge Hillary alla controffensiva.
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