1- VOLANO LETTERE-BOMBA TRA ORNAGHI E IL PRESIDENTE DELLA BIENNALE, PAOLO BARATTA 2- TUTTA COLPA DEL CONSIGLIERE NOMINATO DAL PIO MINISTRO (PER MANCANZA DI PROVE) DEI BENI CULTURALI, EMMANUELE EMANUELE, CHE NON HA DIGERITO IL SILURAMENTO DI MÜLLER E LA NOMINA BLINDATA DI MASSIMILIANO GIONI ALLE ARTI VISIVE 3- IL 9 FEBBRAIO EMANUELE SCRIVE A ORNAGHI CHE, UBBIDIENTE COME UN CAGNOLINO, CROCIFIGGE BARATTA, CHE FERMAMENTE RISPEDISCE AL MITTENTE. DELLA SERIE: MI HA NOMINATO LEI PRESIDENTE, E LA LEGGE MI DÀ PIENI POTERI. E I MEMBRI DEL CDA NOMINATI (PERFINO DAL MINISTRO) NON RAPPRESENTANO CHI LI HA NOMINATI, MA SOLO SE STESSI. TRADOTTO: BARATTA È IL PRESIDENTE ED EMANUELE UN “SEMPLICE” CONSIGLIERE 3- AMICO DI SGARBI (DI CUI È STATO GRANDE PADRINO NELLA CATASTROFICA OPERAZIONE PADIGLIONE ITALIA LO SCORSO ANNO A VENEZIA), EMANUELE CHE, GRAZIE AI SOLDI DELLA FONDAZIONE ROMA, SPADRONEGGIA ALLE SCUDERIE DEL QUIRINALE E AL PALAEXPO, AUMENTA IL CARICO CONTRO BARATTA CON UN’INTERVISTA IN GINOCCHIO DAL GIORNALISTA DEL CORRIERE E AUTORE DEL FALLIMENTARE SGARBI TELEVISIVO, CARLO VULPIO 4- COSA CI AZZECCA ORNAGHI CON LA COPPIA EMANUELE-SGARBI COL GOVERNO DI MONTI?

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1- BIENNALE, LETTERE E SCONTRI TRA ORNAGHI E BARATTA
Sara D'Ascenzo per Corriere del Veneto

Scontro di potere all'ombra della Biennale di Venezia. Al centro c'è il consigliere nominato dal ministro Ornaghi, Emmanuele Emanuele, che non ha digerito il siluramento di Müller e la nomina blindata di Massimiliano Gioni alle Arti visive. Scambio di lettere «pesante» tra il ministro e il presidente. Uno scontro di potere si sta consumando all'ombra della Biennale di Venezia. Tutto finora è stato tenuto sotto traccia, ma negli ambienti romani legati al cinema, da giorni non si parla d'altro che di uno scambio di lettere tra il ministro dei Beni Culturali Lorenzo Ornaghi e il presidente della Biennale, Paolo Baratta.

Al centro dello scambio di lettere, scritte nel registro della cortesia istituzionale ma decisamente ferme nei toni (da una parte e dall'altra), c'è il ruolo del consigliere nominato dal ministro, il professor Emmanuele Emanuele, e la richiesta decisa da parte del ministro di essere messo più a parte delle decisioni della fondazione.

Ma andiamo con ordine. Tutto nasce alla fine dello scorso anno, quando il consiglio d'amministrazione della Biennale viene convocato, il 27 dicembre, per nominare il direttore della Mostra d'Arte cinematografica. Nell'aria c'è una bocciatura di Marco Müller: Baratta vuole Alberto Barbera, ma soprattutto non vuole più Müller nella sua squadra. Il consiglio approva.

Prima della votazione, il professor Emanuele solleva qualche dubbio, ma decide di non mettere niente a verbale per non inquinare da subito i rapporti dentro la fondazione. Il 31 gennaio scorso stesso copione, ma questa volta Emanuele dice la sua: grande amico di Vittorio Sgarbi (di cui è stato grande padrino nella maxi operazione Padiglione Italia lo scorso anno), il professore si astiene sulla nomina di Massimiliano Gioni. Per una questione di metodo, più che di merito, filtra dalla riunione.

Ma è evidente che Gioni non può essere di suo gradimento. Ci pensa su poco più di una settimana, poi il 9 febbraio scrive a Ornaghi, lamentando che il consiglio d'amministrazione non è messo nelle condizioni di condividere i criteri delle nomine dei direttori di settori e il quantum del loro trattamento economico.

Un bel «sassolino» nella scarpa che il ministro decide di rigirare a Baratta. Il 15 febbraio Ornaghi scrive al presidente e gli sottopone due questioni. Primo: la necessità del consiglio di «condividere» i parametri che portano alle nomine dei direttori; secondo: la necessità di una convocazione per tempo dei consigli d'amministrazione, e che con le convocazioni arrivi anche il verbale della seduta precedente e l'articolazione piena dell'ordine del giorno.

L'intento è chiaro: Emanuele vuole poter dire la sua e il ministro è d'accordo, se si prende la briga di scrivere al presidente che lui ha nominato chiedendogli ragione di questi problemi, punto per punto. Non solo: il ministro definisce Emanuele la persona «designata a rappresentarmi nel cda».

La frase non va giù a Baratta, che il 23 febbraio risponde al ministro, anche lui punto per punto. Il succo della lunga argomentazione di Baratta è che le norme gli danno pieni poteri di portare al consiglio la proposta della persona da nominare. Ma la parte più delicata non è questa. Il punto che rischia di incrinare i rapporti tra Biennale e ministero (che finanzia la Biennale, nomina il presidente e tramite la direzione generale per il Cinema ha potere di controllo sulla Biennale) è un altro.

Baratta, infatti, si stupisce che il ministro abbia definito Emanuele come suo rappresentante in consiglio. A molti potrà sembrare un cavillo, ma il punto è proprio qui. Perché è chiaro: il ministro rivendica un ruolo, Baratta gli porta il rispetto dovuto ma fermamente rispedisce al mittente. Della serie: mi ha nominato lei presidente, e la legge mi dà pieni poteri. E i membri del consiglio d'amministrazione nominati (perfino dal ministro) non rappresentano chi li ha nominati, ma solo se stessi. Tradotto: Baratta è il presidente ed Emanuele un «semplice» consigliere. Potentissimo, però.

2- EMANUELE: "METTERÃ’ ORDINE IN BIENNALE"
di Carlo Vulpio per La Lettura del Corriere della Sera

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Lei ha dato vita anche alla fondazione Roma-Mediterraneo, per il dialogo tra le culture e le religioni, ed è attivissimo su altri fronti - Palazzo delle Esposizioni, Museo del Corso, Scuderie del Quirinale -. È stato nominato alla Biennale grazie, o nonostante il suo modo di pensare e di operare?
«Guardi, io non ho chiesto nulla. Presumo che il ministro Ornaghi mi abbia voluto alla Biennale - che è il luogo più eminente della cultura italiana - perché ha ritenuto che io abbia fatto un buon lavoro come presidente della Commissione intellettuali della Biennale 2011 curata da Vittorio Sgarbi. E poi perché penso che in questo modo abbia voluto portare alla Biennale quei criteri di rispetto delle regole e di trasparenza a cui questo governo sembra tenere come una propria caratteristica».

Sembra anche però che il ministro Ornaghi abbia dato una scossa, con una lettera secca, al presidente Paolo Baratta e agli altri membri del cda della Biennale affinché cambino modo di agire. È vero?
«Non so se ci sia o meno una lettera. Se ci fosse, mi parrebbe non solo normale - poiché la Biennale vive con i 14 milioni di euro del ministero per i Beni e le attività culturali -, ma anche conforme al rigore richiesto dal governo. Questo cda sembra abituato ad allinearsi alle decisioni del presidente senza discutere, sia quando si decidono le attività, sia quando si scelgono i direttori delle diverse sezioni.

Per Cinema e Architettura sono stati cambiati, mentre per Danza e Lirica sono stati confermati gli uscenti. In base a quale criterio? E poi, si può davvero pensare che tutto fili via liscio se, per esempio, le convocazioni per il cda e i curricula dei candidati ti arrivano la sera prima? E le tante decisioni prese addirittura senza esaminare i curricula o con convocazioni ad horas? Mi dispiace, ma io sono abituato a un metodo diverso, più democratico e più consapevole».

Per questo si è astenuto sulla nomina a direttore della Biennale di Massimiliano Gioni?
«Sì. Nulla di personale, intendiamoci. Come non ho nulla di personale contro Baratta, che stimo e con il quale mi auguro di poter collaborare in piena sintonia. È una questione di metodo. Di criteri di trasparenza, completezza delle informazioni e condivisione delle scelte. Non si può fare una proposta alternativa e sentirsi rispondere che l'istruttoria è già conclusa».

La morale qual è?
«Se cambiamo metodo di gestione, che poi è anche la linea del ministero, saremo da esempio per la cultura italiana e avremo agito nell'interesse di tutti».

 

 

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