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DAGOREPORT - I REPUBBLICANI ANTI-TRUMP HANNO TROVATO IL LORO ALFIERE: JD VANCE - IL VICEPRESIDENTE…
GOVERNO: ANTONIONE, DESTRO, GAVA, PITTELLI E BUONFIGLIO NON VOTANO
Radiocor - 'Abbiamo preso atto con soddisfazione che la Camera dei Deputati, anche per le decisioni preannunciate dalle opposizioni, approvera' nel pomeriggio il rendiconto generale dello Stato, come era necessario e doveroso. A tal proposito ribadiamo la necessita' che il presidente del Consiglio favorisca la nascita di un nuovo Governo con la piu' ampia base parlamentare, per affrontare la drammatica emergenza economica e finanziaria dell'Italia, e a tal fine non parteciperemo, per scelta politica, alle votazioni di oggi'.
Lo scrivono in una nota i deputati Antonione (Pdl), Destro (Pdl), Gava (Pdl), Pittelli (Misto) e Buonfiglio (Misto). Dal canto suo, il segretario del Pri Francesco Nucara (finora pro Cav) e' ricoverato in clinica da domenica. Per questo motivo oggi non potra' essere in Aula alla Camera. Si e', intanto, dimesso dal Governo il sottosegretario agli Esteri, Enzo Scotti che invita, a mezzo lettera, Berlusconi a fare un gesto 'da vero patriota', offrendo la disponibilita' per una guida diversa del Governo: 'Il Cavaliere - dice Scotti - non resista oltre il limite, non puo' andare avanti con due voti acchiappati da una parte e tre persi dall'altra. Non e' una partita di calcio, ma il futuro di una nazione'.
1 - LA STRATEGIA DI PD E UDC IL COLPO FINALE LA SETTIMANA PROSSIMA
Fabio Martini per "La Stampa"
Nei labirintici corridoi di Montecitorio che portano all'Auletta dei Gruppi dove si presenta il libro di Michele Vietti (vicepresidente del Csm), a metà pomeriggio si incrociano Gianni Letta e Pier Ferdinando Casini, che dice piano all'altro: «Dai, facciamoci vedere assieme, così chissà che pensano...». Casini scherza, ma nell'Auletta c'è un pubblico e un'aura iper-istituzionale, da governo delle grandi intese e, forse, è proprio questa clima ad incoraggiare il presidente del Senato Renato Schifani a pronunciare un discorso sorprendente.
Davanti ad una platea nella quale sono presenti fior di magistrati (il presidente dell'Anm Luca Palamara e il Procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati), Schifani glissa sulle tradizionali critiche della destra alla magistratura e conclude il suo intervento con queste parole: «Ogni riforma non è mai, né deve essere intesa contro la magistratura, non è corretto neanche pensarlo». E ancora: «Una riforma della giustizia passa da un unico presupposto, che è la piena condivisione di tutte le forze politiche, con l'apporto necessario di maggioranza e opposizione insieme».
Discorso «istituzionalmente corretto», come quelli che si facevano una volta o qualcosa di più? Una elegante autocandidatura a premier proprio mentre sta per collassare il governo in carica? E un'ora prima, il Casini che ostenta intimità con Letta, con la sua sola vicinanza, contribuisce ad indebolire un possibile candidato ad un nuovo governo di centrodestra? Una cosa è certa ed è curioso il contrappasso: le battute di Casini e il discorso di Schifani - con movenze che richiamano il lessico felpato della Prima Repubblica - preparano quella che si preannuncia come la settimana più cruenta nella storia della Seconda Repubblica.
Si comincia oggi, con la nuova votazione del Rendiconto dello Stato. I due schieramenti hanno preparato la giornata, navigando a vista, in un mix di «compravendite» e tattiche studiate a tavolino, ma tutte da verificare. E ieri sera, durante un vertice dei capi dell'opposizione, è stato informalmente deciso l'obiettivo per la giornata di oggi: non tanto e non ancora far cadere il governo, ma - come rivela uno dei partecipanti - «tenerlo basso» ad una quota (311-312 sì), che lo indebolirebbe e ne renderebbe quasi ineluttabile la fine alla successiva votazione, quasi certamente una mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni.
Mai come in queste ore i capi della minoranza sentono di avere la «preda» a portata di mano e per questo calibrano le mosse. Il presidente della Camera Gianfranco Fini invita i suoi a non avere una fretta eccessiva, chiede un indebolimento progressivo della maggioranza, un escalation che porti alla caduta del governo «nell'arco di una settimana».
I protagonisti dell'assedio a Palazzo Chigi - oltre a Fini, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani e il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini - in altre parole cercano di evitare il bis della mozione di sfiducia del 14 dicembre, che restò sotto di tre voti per un eccesso di fiducia, per un sostanziale disimpegno dei centristi e per un lavoro di squadra ridotto all'osso, non paragonabile a quello massiccio dispiegato in queste ore. Ieri si sono incontrati a Montecitorio i leader di tutti i partiti di opposizione e durante il vertice è stata decisa la tattica: in occasione della votazione sul Rendiconto, si spingerà su due opzioni diverse per mettere in difficoltà il governo: assenti e astenuti.
In altre parole, i quattro gruppi di opposizione (Pd, Udc, Idv, Fli), anziché votare contro, si asterranno in modo da calamitare su una posizione diversa dal diniego assoluto, il maggior numero di incerti. E i malpancisti più incerti? A loro viene sommessamente consigliato di tenersi lontani da Montecitorio. In queste ore i leader dell'opposizione sono dunque concentrati sulla caduta di Berlusconi più che sugli scenari e sui possibili premier, anche se Benedetto Della Vedova, presidente dei deputati futuristi, dopo il vertice delle opposizioni, lancia una opzione inedita: «Se il Pdl si sottrarrà ad appoggiare un governo del Presidente, credo che potrebbero appoggiarlo molti eletti nella maggioranza».
Un governo Pd-Udc più una metà dei deputati Pdl? In queste ore chi mena le danze sono i centristi, impegnati in una «controcampagna acquisti», ciò che era mancato nel passato. Un lavoro di squadra quello dell'Udc: Pier Ferdinando Casini dirige le operazioni, Lorenzo Cesa e Paolo Cirino Pomicino «lavorano» i parlamentari e quando è significativa la «preda», come nel caso di Gabriella Carlucci, scatta il tamtam informativo.
2 - CAMERA, MAGGIORANZA A 311 - FIDUCIA APPESA A POCHI VOTI
Dall'articolo di Monica Guerzoni per il "Corriere della Sera"
(...) Eppure i leader delle opposizioni sono nervosi, speravano in una valanga che ancora non si vede e temono che una mozione di sfiducia si riveli un boomerang. Per questo la depositeranno solo una volta raccolte 316 firme in calce. A sera il pallottoliere delle minoranze dava questo responso in caso di voto di fiducia: 312 voti per il fronte di Fini, Casini, Bersani, Rutelli e Di Pietro e 311 per Berlusconi e Bossi. Non sono numeri assoluti, certo. Dando per scontato il sì di Stracquadanio e Bertolini e il no di Antonione, Fabio Gava e Giustina Destro, restano da collocare tre presunti indecisi.
Antonio Milo? Le opposizioni sono convinte di averlo con loro perché ha firmato il documento di Luciano Sardelli ed Enzo Scotti, il sottosegretario che ieri si è dimesso dal governo. Giancarlo Pittelli? à uno dei sei «ribelli» dell'Hassler e dunque i bookmakers di Montecitorio lo danno in fuga dal centrodestra. E Antonio Buonfiglio? L'ex finiano, approdato in Fare Italia con Urso, Ronchi e Scalia, ha detto con chiarezza: «Senza allargamento della maggioranza io sulla fiducia mi astengo». E il rendiconto? «Se diventa una fiducia non lo voto».
Sulla carta, dunque, tre voti che potrebbero rafforzare le opposizioni e portarle a 315. I vertici del Pd smentiscono che i numeri siano «così alti», ma chi può dire che non sia un depistaggio? Il finale è da scrivere, le incognite sono più delle certezze. Pippo Gianni, deputato del Pid con una discreta dote di voti in Sicilia, ha parlato con Casini e nell'Udc sarebbe accolto come un figliol prodigo. Lui andrebbe pure, ma non vuole «dare un dolore» al suo amico Saverio Romano.
E in Sicilia si parla molto anche di Pippo Scalia, l'ex finiano di Fare Italia che è in forte disagio nel centrodestra. In compenso Francesco Stagno d'Alcontres conferma di essere stato contattato da Casini, che gli ha «ripetutamente chiesto di passare all'Udc». Ma invano, perché il deputato ha deciso di restare in Grande Sud con Gianfranco Micciché.
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