FLASH! - FERMI TUTTI: NON E' VERO CHE LA MELONA NON CONTA NIENTE AL PUNTO DI ESSERE RELEGATA…
Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
E se il Napoli andasse a cuccarsi un ubriacante scudetto nell’anno della “scandalosa” e molto maledetta cessione di Higuain alla rivale bianconera? Sarebbe un botto da leggenda, bello per quanto precipiterebbe in farsa la logica piatta applicata al calcio, oltre che il trionfo personale del Pomata, l’uomo che trasforma i centravanti in oro. Ipotesi, scudetto al Napoli, non del tutto assurda se leggi quanto sta capitando di questi tempi.
Quella di Palermo è di gran lunga la più orrenda Juventus degli ultimi cinque anni. Segue al Siviglia e all’Inter. Tre indizi che quasi fanno prova e tre punti da vergogna questi ultimi, un paio di nuovi infortuni seri e gente che proprio non decolla come Sua Evanescenza Pjanic.
Si capisce che quelli del Palermo siano ancora lì, un giorno dopo, a reiterare la bestemmia da cattivo sangue. Di contro, il Napoli di Sarri fa gioco e risultati, non importa se Milik o Gabbiadini, importa che Hamsik si sia incarnato capitano vero al meglio della sua maturità, in assenza di Pepite. Chievo spazzato via in un amen. E non era così scontato.
Dovrebbe esserci anche la Roma a giocarsela con le due. Dovrebbe, ma non è e non sarà. Robetta. Rometta. Bruttissimo segno Lucio Spalletti che si pietrifica a fissare il vuoto. Lo conosciamo. Succede quando il mondo gli risulta incomprensibile e dunque doloroso. Tornato a Roma col piglio del “domino” e lo sguardo frontale si ritrova da un po’ a misurare le zolle del campo e le mosche nell’aria. La sua Roma è una creatura altamente imperfetta.
E deprimente per quanto discontinua. Dopo quella di Firenze, riesce a straperdere (non accadeva dal ’90) anche quella con il Toro dell’incontenibile Belotti, oggi miglior centravanti italiano di molto, pur tenendo a lungo il controllo della partita. Il tema è semplice, se tu hai dieci palle gol e non ne realizzi una (il gol arriva su rigore) e in difesa ti ritrovi a beccare l’ennesimo gol da palla morbida e prevedibile che arriva da lontano, non puoi che andare incontro a una frustrazione infinita.
Dzeko è il nome della frustrazione, sempre una spanna sotto la ferocia evocata da Spalletti, quella che c’è invece in overdose nella testa e nei piedi di Belotti, animale da combattimento e calcio nemmeno banale. Il Toro, oggi, al settanta per cento è lui. Totti è invece il nome del delirio che inchioda questa città all’impossibilità d’immaginarsi senza di lui.
Qualcosa di mefistofelico poi ha a che fare con la cosiddetta legge dell’ex, quando si tratta di Roma. Segnano proprio tutti. Ieri, prima doppietta in carriera di Iago Falque, ma prima di lui Borriello e un elenco infinito. Spalletti dovrà inventarsi qualcosa, non so cosa, ma è bene che lui lo sappia.
Non sfrutta l’occasione l’Inter per restare attaccata alle caviglie in volo di Juve e Napoli, ma il Bologna gioca a San Siro una gran partita, senza mai rinunciare all’ambizione dei tre punti. Da segnalare l’esordio a San Siro di Gabriel Barbosa, brasileiro e fenomeno annunciato, e il primo gol italiano di Simeone, il figlio del Cholo al Genoa.
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